Un suicidio che ha lasciato Viterbo attonita. E’ stato quello di Abul Basar Matubbar, 35 anni originario del Bangladesh, che è stato ritrovato da un netturbino la mattina del 21 luglio impiccato con una corda agganciata a un anello storico di piazza San Lorenzo, a pochi metri dall’ingresso della cattedrale viterbese. Ieri mattina, nello stesso posto, Antonio Biagini, responsabile provinciale di Uila Uil, ha voluto ricordare il ragazzo bengalese lasciando, nel punto esatto in cui lo straniero si è impiccato, la bandiera bengalese e un mazzo di fiori per esprimere la propria vicinanza e denuncia pubblica sul senso di solitudine di tante persone. Presenti alla commemorazione, in rappresentanza della Diocesi di Viterbo, don Flavio Valeri, parroco della chiesa del Sacro Cuore del Pilastro e vicario foraneo della Diocesi e Don Massimiliano Balsi, parroco della basilica di Santa Maria della Quercia e vicario diocesano per la formazione e la cultura. «La vicenda di questo ragazzo – ha detto Antonio Biagioli al momento della commemorazione – potrebbe essere l’emblema di quella di tanti giovani stranieri che lavorano e vivono in questa città. Lui abitava in una specie di buco di 4-5 metri quadrati senza finestre, l’unica luce era quella di una grata che dava direttamente sulla strada, un vicolo buio e stretto del centro storico di Viterbo». Biagioli è stato per tutta la breve commemorazione visibilmente commosso per una vicenda che è solo l’ultima di tanti drammi che si svolgono quotidianamente all’insegna, spesso, del silenzio e dell’indifferenza pubblica. «Abul Basar Matubbar – continua Biagioli - è stato bullizzato, picchiato in un paio di occasioni e viveva, credo, in una condizione di disperazione. Anche la situazione attuale del Bangladesh, in cui c’è uno stato di rivolta nazionale e sono state interrotte le comunicazioni via Intenet, gli ha tolto l’unico momento di conforto che poteva avere collegandosi con i genitori e poi è arrivato a fare questo gesto». Sulla reazione della città di Viterbo a questo dramma il presidente della Uila Uil è chiaro. «Viterbo ha reagito, in parte, sottovalutando il problema e con menefreghismo, in parte bene: oggi erano presenti qui tante associazioni perché il problema è sentito. Bisognerebbe cominciare a ricostruire l’umanità perché non è possibile che ci siano degli esseri umani che siano abbandonati in modo di fargli compiere gesti di questa natura».

Sull’impegno contro fenomeni come il caporalato, che spesso degenerano altrettanto in drammi, Biagioli dice che «la situazione nella Tuscia è, in parte, migliorata soprattutto per i controlli: oggi ce ne sono tantissimi. Sono quotidiani e con i mezzi più sofisticati. Tutti i giorni, però, vengono alla luce situazioni di caporalato e di sfruttamento dei lavoratori. Questo vuol dire che le aziende agricole o non capiscono o pensano che è giusto che sia così». Il leader della Uila Uil Viterbo è netto: «Serve capire che l’uomo non è una macchina – conclude – non può stare 16 ore al giorno piegato a raccogliere meloni o pomodori. Il lavoro è dignità ma non può esistere da solo e come unico scopo di vita».