Don Ivan Leto*

Giungiamo alla quattordicesima settimana del tempo ordinario. L'invito questa volta è "uscire". Il Signore manda il profeta Ezechiele a parlare al popolo d’Israele in esilio. Non importa se la colpa della deportazione sia stata colpa degli esuli oppure no, quello che colpisce è che Dio non abbandona i suoi. Mai. E usa le persone normali per svegliare la sua gente. Di un uomo la cui unica qualità è quella di essere stato chiamato da Dio. Non dimentichiamo che profeta non è colui che predice il futuro, né colui che compie innumerevoli miracoli, ma piuttosto colui che parla in nome del Signore. In questo caso, portare la Parola agli esuli di Babilonia. La consolazione, perché, nonostante tutto – pur essendo lontani da casa, senza tempio, senza sacerdoti, senza speranza – il Signore è con loro. La spedizione non è molto incoraggiante. “Sia che vi ascoltino sia che non vi ascoltino, poiché sono un popolo ribelle, sapranno che c’era un profeta in mezzo a loro”. Verranno tempi in cui questo annuncio darà i suoi frutti, per ora dobbiamo seminare, dobbiamo lavorare e lasciare la reazione alla coscienza di ciascuno. L’importante è che Dio non smetta di mandare segni, affinché tutti ci pentiamo e torniamo a casa. Per Paolo, essere un messaggero non ha risolto la sua vita. L’Apostolo delle genti ci parla di quella “spina” conficcata nella sua carne. Una spina che non lo lascia vivere. Potremmo pensare che la sua posizione sia una garanzia. Spesso ci lamentiamo che Dio non ci ascolta, non reagisce, non ci dà quello che chiediamo, quando lo chiediamo. Con tutti i meriti accumulati da Paolo, e non è guarito. La domanda non è cosa vogliamo o chiediamo, ma cosa Dio ha preparato per noi. Per Paolo Dio non toglie il disagio, la malattia, ma gli dà la forza per superarlo. Perché sappiamo già che Dio si manifesta attraverso gli esseri deboli. Per questo non ci libera dalle malattie, dai difetti, dalla stanchezza. Anche per Gesù le cose non andarono troppo bene. Quando ha cominciato a parlare del Regno di Dio, a cercare di cambiare le norme rituali e religiose, tutto diventa complicato. Perché la sua offerta del Regno di Dio era un’offerta molto aperta, niente di esclusivo, non riservata a nessun settore con meriti particolari. Il risultato finale è il conflitto. Il Messia, il Salvatore, è qualcuno tanto atteso, ma quando appare non viene riconosciuto. È un dramma per Gesù e un dramma per il suo popolo. Gesù era per loro un “vecchio sconosciuto”. Conoscevano con precisione alcuni dei suoi rapporti: sua madre, i suoi fratelli, le sue sorelle. Ma non hanno nemmeno guardato all’altra parentela profonda, quella che il vangelo di Marco ci presenta all’inizio e alla fine: Gesù, il Figlio di Dio. Rimasero in superficie; Non sono arrivati alla verità. I suoi connazionali reagiscono, da un lato, con sorpresa davanti alla saggezza di quelle parole, che non erano come quelle degli scribi e dei farisei. Allo stesso tempo, sono sorpresi dai miracoli che compie. D’altra parte, sono spaventati dai cambiamenti che ciò implica nella loro vita. Forse il messaggio fondamentale che possiamo cogliere è semplicemente questo: Gesù è per te ciò che tu gli lasci essere. I vicini del suo paese non gli hanno permesso di essere altro che un altro vicino, invece di lasciarlo essere quello che realmente era e pretendeva di essere: portatore di salute e di salvezza.

*Don Ivan Leto

Cattedrale Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia

Parrocchia N.S. di Lourdes