di CARLO CANNA



CIVITAVECCHIA - Era il lontano 1857 quando il civitavecchiese Candeloro Gargiulli decise di aprire nella sua città natale una modesta osteria in un locale sito sotto le fondamenta di Camp’Orsino, con accesso dalla cinta merlata di Urbano VIII, tra l’antica “Scaletta” e la fontana del Vanvitelli. Stiamo parlando della famosa “Trattoria del Gobbo”, il cui nome si deve ad un garzoncello gobbo assunto in quegli anni da “padron Candeloro”, la locanda dalla storia ultracentenaria, notissima fino a tempi recenti ben oltre i confini nazionali, soprattutto in Francia e in Germania. Da luogo di incontro di lavoratori portuali, pescatori e rari visitatori in transito da e per la Sardegna, grazie alla linea ferroviaria Civitavecchia-Roma inaugurata nel 1859, l’osteria divenne ben presto meta ambita dei facoltosi villeggianti romani che si recavano nei primi stabilimenti balneari della città portuale, attratti dalla tipica cucina marinara offerta nella locanda e dallo straordinario contesto storico e antropologico che la caratterizzava.



Alla varietà e alla freschezza del pescato, infatti, si aggiungeva non solo la bellezza del luogo, ma anche l’elemento folcloristico costituito dallo spettacolo messo in scena dai numerosi “maschietti” che seminudi, nella stagione estiva, si tuffavano dalla fontana del Vanvitelli per riportare a galla la monetina lanciata in mare dai turisti. Venuto a mancare il Gargiulli, la gestione del locale passò in consegna alla moglie Caterina Paparcuri di Tolfa e, successivamente, dal 1900 al 1913, al figlio Erminio coadiuvato dalla giovane moglie Andreina Urbani. Questa, rimasta vedova, contribuì notevolmente ad aumentare la fama gastronomica della trattoria grazie alla sua inimitabile zuppa di pesce, allora come oggi, fiore all’occhiello della cucina tradizionale civitavecchiese.



Tra gli assidui frequentatori dell’epoca che non potevano rinunciare alle specialità culinarie della “Sora Lisa” si ricordano la principessa Jolanda di Savoia con il marito conte Calvi di Bergolo, il Maresciallo dell’Aria Italo Balbo, il generale Valle, alte autorità civili e militari, artisti e giornalisti di fama nazionale. I devastanti effetti dei bombardamenti del secondo conflitto mondiale, a Civitavecchia, non risparmiarono nemmeno la “Trattoria del Gobbo” che venne ridotta in un ammasso di macerie. Verso la fine del 1944, tuttavia, lo storico locale civitavecchiese riprese la propria attività nella nuova sede di Viale Guido Baccelli per poi traferirsi nuovamente e definitivamente, negli anni ’50, in quella ben più panoramica di Lungoporto Gramsci, di fronte al Forte Michelangelo. Negli anni del dopoguerra, la “Trattoria del “Gobbo” accolse le visite di altri ospiti illustri quali il Re Gustavo di Svezia con la consorte Margaret di Danimarca, il principe Bernardo d’Olanda, parlamentari, artisti e, in anni più recenti, i principi romani Ghigi, Orsini, Torlonia ed altre note personalità.



Un ultimo grande momento di gloria e di notorietà della trattoria si ebbe con il film di Ettore Scola “Che ora è?” (1989), interamente ambientato e girato a Civitavecchia, in cui il grande regista scelse il salone del “Gobbo” come location ideale per immortalare una celebre scena che vede protagonisti gli indimenticabili Marcello Mastroianni e Massimo Troisi. Dopo le riprese di quel film, la “Trattoria del Gobbo” cessò definitivamente la propria attività, forse per la tarda età dei gestori e, al suo posto, oggi, c’è una banca. Così,  si conclude - speriamo solo temporaneamente - un altro pezzo importante della storia civitavecchiese e, con esso, anche uno straordinario esempio di quel binomio vincente, sempre più in voga, rappresentato da cultura e turismo.