CIVITAVECCHIA – In questi giorni nella nostra città si raccolgono le firme per un referendum consultivo sull’istituzione della Provincia della Porta d’Italia, di cui farebbe parte Civitavecchia con altri otto comuni del litorale romano e viterbese (Fiumicino, Ladispoli, Santa Marinella, Allumiere, Tolfa, Tarquinia, Montalto di Castro, Monte Romano).

Fra le motivazioni che spingono alla nascita della nuova provincia laziale, sono spesso richiamate quelle storiche: ridare vita a quella che era la provincia o meglio la Delegazione di Civitavecchia, in essere sotto il potere temporale dei pontefici romani, che dal confine con il Granducato di Toscana, arrivava alla piccola località di Palo, primo nucleo della futura Ladispoli.

Alla fine del XVII secolo, Innocenzo XII per favorire lo sviluppo della città “volle innalzarne il governo, sia coll’affidarlo a persona di grado più alto nella gerarchia della curia, sia coll’estenderlo sui luoghi vicini, di maniera che Civitavecchia diventasse capoluogo di provincia”. Ciò avvenne colla costituzione del 10 novembre 1693 (Calisse, 1898, p. 497).

Non dobbiamo credere però che il concetto di provincia nell’amministrazione pontificia fosse analogo al nostro. Lo storico del Diritto Paolo Alvazzi giustamente fa notare che “l’organizzazione pontificia non si basava su di una divisione territoriale razionale, ossia funzionale a una efficiente amministrazione dello Stato, quanto piuttosto sulla difesa delle antiche tradizioni, proprie dei differenti domini della Chiesa”. Lo studioso prosegue: “La divisione territoriale era fondata sull’utilizzazione di una varietà di ripartizioni amministrative estremamente complessa, confusa e, a volte, contraddittoria. Convivevano e si sovrapponevano così le Province, gli Stati, i Ducati, le Legazioni, le Delegazioni, i Territori” (da internet).

Saltando da un secolo all’altro, Pio VII appena ritornato a Roma nel giugno 1800, modificò la struttura amministrativa dello Stato creando sette delegazioni e tre “province suburbane” fra cui Civitavecchia, che sotto Napoleone I, divenne un cantone nell’Arrondissement romano.

Sconfitto ed esiliato l’imperatore, Civitavecchia nel 1814 fu eretta provvisoriamente a delegazione di terza classe ed acquisì Canino, Toscanella, Vetralla, Tolfa con Allumiere. Tutto ciò fu confermato nel 1816: in qualche modo si proseguiva sull’esempio francese che aveva iniziato a razionalizzare la confusa struttura amministrativa dello Stato della Chiesa.

Il successore di Pio VII, Leone XII, nel 1825 volle ridurre le delegazioni: Civitavecchia fu unita a Viterbo ma questa unione durò ben poco: nel 1831 Gregorio XVI ritornò al vecchio modello, dando nuovamente autonomia alla città portuale.

Nel 1850 Pio IX con l’editto del 22 novembre rimise mano alla suddivisione territoriale: vennero create quattro legazioni, che avevano sotto di esse le delegazioni o province. Roma con il suo territorio faceva eccezione: non era inserita in una legazione e sotto di essa c’erano la Comarca e le province di Viterbo, Orvieto e Civitavecchia. Aspetto importante della riforma di Pio IX fu l’apertura alla partecipazione dei laici con la nomina, tramite elezioni, di rappresentanti nei comuni.

Con la Breccia di Porta Pia e la fine del governo temporale, il Lazio divenne la Provincia di Roma, suddivisa in cinque circondari fra cui Civitavecchia, che aveva alla guida il sottoprefetto, massima autorità governativa in loco, figura che fu abolita nel 1927 con la riforma delle province attuata dal governo fascista.

Da quella data, furono diversi i tentativi di promuovere Civitavecchia a capoluogo di provincia ma nessuno riuscì al contrario di Viterbo, Frosinone e Rieti che furono invece promosse.

Nel periodo repubblicano, molte furono le proposte di legge per istituire la provincia di Civitavecchia ma nessuna di esse ebbe un esito positivo. Ora il nuovo tentativo.