CIVITAVECCHIA - Rischia di diventare esplosiva, più di quanto già non sia, la situazione della casa di riposo «Santa Rita» di via Aurelia nord. Già per due volte, nel corso degli ultimi mesi, è stata scongiurata la chiusura con la Sigesa, società che gestisce la struttura che ha presentato ricorso al Tar contro i provvedimenti disposti dal Comune di Civitavecchia.



La questione è ancora aperta, con il Pincio che il 5 agosto scorso aveva adottato il provvedimento definitivo, negando l’autorizzazione e disponendo nuovamente una chiusura, rimasta al momento sulla carta. In ballo la sistemazione di 31 ospiti ed il futuro lavorativo di 26 operatori. «Nei prossimi giorni – ha confermato l’avvocato Giuliano Gruner, legale di Sigesa - impugneremo proprio quest’ultimo provvedimento».



Ma la partita si gioca anche sul piano civile, in particolare tra l’istituto Asse (Agostiniane Serve del Signore per l’Evangelizzazione), che ha in concessione la struttura di proprietà demaniale da parte dell’Autorità Portuale e proprio la Sigesa. A quanto pare, infatti, l’istituto avrebbe subaffittato la struttura con un canone annuo di 540mila euro alla società che non sarebbe riuscita ad onorarlo completamente, pagando circa 400mila euro; la questione è finita in tribunale con le Asse che hanno intenato una causa per morosità dei pagamenti.



E lunedì, cinque settembre, è atteso nella struttura l’ufficiale giudiziario per il rilascio della casa di riposo da parte della Sigesa. Se in questi giorni non interverranno decisioni diverse, «Sigesa - ha assicurato l’avvocato Barbara La Rosa, legale della società nel procedimento amministrativo - rilascerà la struttura senza opposizioni e senza creare problemi, ottemperando a quello che è il provvedimento del giudice». Quali scenari potrebbero aprirsi? Non certo i più rosei.



Se le agostiniane andranno avanti con il procedimento di sfratto nei confronti di Sigesa, la casa di riposo tornerebbe all’istituto religioso che per quindici anni avrebbe già gestito la struttura. Su questo periodo pregresso starebbe cercando di fare chiarezza anche lo stesso avvocato Gruner, per conto di Sigesa. «Dal 2001 e fino al 2013 l’istituto avrebbe gestito direttamente la casa di riposo - ha ribadito il legale - nella totale carenza di autorizzazione e di personale qualificato. Poi, dal 2013 al 2015, in base ad una “autorizzazione provvisoria”, rilasciatagli dal Comune senza che l’Istituto avesse i requisiti per ottenerla; infine, nel 2015, l’attuale amministrazione ha rinnovato l’autorizzazione provvisoria del 2013, sempre senza che l’Istituto avesse i requisiti». E poi c’è la questione legata alla concessione del bene demaniale perché, a quanto scritto nell’atto, «senza una previa autorizzazione dell’Autorità portuale, l’Istituto religioso - ha aggiunto Gruner - non avrebbe potuto sub-affittare alcuna parte della struttura, a pena di decadenza dalla concessione stessa, così come previsto, del resto, dal codice della navigazione. Ciò nonostante, sembrerebbe che l’Istituto religioso abbia sub-affittato la struttura proprio alla Sigesa, senza aver preventivamente richiesto ed ottenuto l’autorizzazione da Molo Vespucci. Se queste ipotesi dovessero essere confermate, la società procederà alla tutela delle sue ragioni in ogni opportuna sede giurisdizionale».



Una situazione piuttosto ingarbugliata; una vera e propria ‘‘patata bollente’’ per l’amministrazione comunale che, in un caso o nell’altro, sarà chiamata ad intervenire con soluzioni difficili da trovare, soprattutto a tutela degli anziani ospiti, delle loro famiglie e degli operatori coinvolti.



Manuela Busnengo