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Cresce la preoccupazione che il progetto di discarica per rifiuti di inerti in località Piano del Casalone, nei pressi del sito archeologico di Norchia, proposto da un privato, possa essere autorizzato dall’amministrazione regionale.
L’avvocato Gabriele Sabato, specializzato in diritto amministrativo e docente Unitus di diritto ambientale e forestale, spiega a La Provincia lo stato dell’arte della procedura autorizzativa in corso in Regione e la tipologia del progetto all’attenzione degli uffici regionali, su cui si soffermerà anche nel corso dell’incontro programmato all’Università degli Studi della Tuscia, per domani alle 15, presso il Dafne (ex Facoltà di Agraria, blocco A2), organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Viterbo, dal titolo “La tutela degli interessi ambientali, tra diritto e processo amministrativo”.
Il presidente della Provincia, nei giorni scorsi, ha richiamato il rischio che la discarica possa accogliere addirittura rifiuti porta a porta e fanghi della potabilizzazione dell’acqua.
«Si il rischio è concreto, perché in realtà dai codici rifiuti collegati al progetto si ricava la conferma che anche altri rifiuti, diversi dagli inerti, potrebbero essere accolti in questa eventuale discarica. Non solo, allo stato è previsto anche il possibile conferimento di rifiuti solidi prodotti dalle operazioni di bonifica dei terreni».
Una mole notevole di rifiuti, proprio nel cuore delle bellissime vallate che separano Viterbo da Vetralla e Monte Romano. La Tuscia è ancora sotto scacco, come se ne esce?
«I rifiuti sono purtroppo ancora un elemento residuale, ma per certi aspetti centrale, della nostra economia. L’Unione europea da quasi dieci anni ha adottato politiche pubbliche finalizzate ad affermare la cosiddetta “economia circolare”, in cui i beni devono essere prodotti già pensando al fatto che non dovranno finire in discarica, ma dovranno essere reintrodotti nel circuito economico, tramite il loro riutilizzo e riciclo. Purtroppo tutti siamo chiamati a confrontarci, ancora, verso progetti di discarica che vanno a consolidare principi di segno opposto a quelli europei».
Che tempi avrà la gestione del procedimento autorizzativo, prima di arrivare eventualmente alla decisione finale della Regione?
«Va premesso che i tempi dei procedimenti amministrativi, quale quello gestito in questo caso dalla Regione, sono tendenzialmente derogabili dalla stessa amministrazione. Nel caso specifico possiamo però ricordare anzitutto che la Regione è prossima a convocare una conferenza di servizi alla quale parteciperanno il privato e tutte le amministrazioni competenti (fra cui Comune di Viterbo e Provincia) o comunque potenzialmente interessate per il rilascio del provvedimento di valutazione di impatto ambientale e dei titoli abilitativi necessari alla realizzazione e all'esercizio del progetto di discarica. Il termine di conclusione dei lavori della conferenza di servizi è per legge di novanta giorni, a decorrere dalla data della prima riunione della conferenza di servizi, che però ad oggi non risulta ancora essere stata fissata».
Vi sono aspetti che emergono dalle carte, che potrebbero far pensare a una bocciatura del progetto da parte della Regione?
«Sembra ve ne siano, apparentemente anche abbastanza significativi. Penso alla presenza di fattori generali e di fattori specifici. Per quanto riguarda i primi, penso al fatto che il progetto andrebbe a incrementare la quota di rifiuti destinati a discarica, contrariamente a tutte le indicazioni normative europee, nazionali, regionali e locali degli ultimi anni, con cui è stato stabilito che il conferimento in discarica è l’extrema ratio per il trattamento dei rifiuti. Il Piano Regionale di Gestione Rifiuti del 2020 stabilisce poi che in caso di autosufficienza di un Ambito Territoriale Ottimale (che combacia con il nostro territorio provinciale) è fatto divieto di autorizzare nuovi impianti che trattino rifiuti urbani, fatti salvi quelli che utilizzano tecnologie innovative e indirizzate ai principi dell’economia circolare. Sembra quindi che una volta accertato il fatto che l’Ato di Viterbo è autosufficiente, non vi sia spazio per il rilascio di un’autorizzazione come quella richiesta».
E per quanto riguarda gli aspetti più particolari che potrebbero portare a un diniego di autorizzazione?
«Per quanto riguarda poi quelli che chiamavo fattori specifici, dalla lettura dei documenti presenti nel fascicolo del procedimento regionale, sembrerebbe che il progetto di discarica non tenga conto del fatto che il piano regionale dei rifiuti individua dei veri e propri “fattori escludenti” la realizzabilità di discariche di inerti, quali la vicinanza ad attività imprenditoriali legate al turismo agricolo o ad impianti sportivi (come quelli presenti in questa vicenda), per non tacere della presenza di un sito archeologico quale quello di Norchia, situato a 1.500 metri circa dal luogo su cui dovrebbe sorgere l’impianto. Si tratta di elementi, tutti, che credo la Regione non mancherà di valutare attentamente».
Risulterebbe anche che l’Arpa Lazio si sia pronunciata con rilievi non positivi in merito al progetto, conferma?
«Si. A febbraio di quest’anno l’Arpa ha depositato una nota in merito alla potenziale pericolosità del sito su cui dovrebbe sorgere l’impianto, dopo che il provato, nel luglio 2023, avrebbe trasmesso alle amministrazioni competenti la comunicazione del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione, previste nel codice dell’ambiente. Dai certificati analitici relativi ai campionamenti effettuati sulle acque di falda prelevate dai piezometri presenti in sito nell’anno 2023, sarebbe stato rilevato infatti il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione per i parametri relativi ad arsenico, piombo e manganese. Lo stato di salute dei terreni sembrerebbe quindi già essere abbastanza compromesso».
Dagli atti, infine, emerge anche una vicinanza del luogo su cui dovrebbe sorgere la discarica, rispetto a siti di interesse ambientale. È possibile?
«Confermo, l’intervento è ubicato esternamente ai siti della ReteNatura2000, ma di cui i più vicini sono la Zona Speciale di Conservazione (ZSC) IT6010021 “Monte Romano” e la Zona di Protezione Speciale (ZPS) IT6010058 “Monte Romano”, a circa 1,3 chilometri di distanza. Questa però rappresenta una distanza che spesso la magistratura ha ritenuto insufficiente a consentire la realizzazione di progetti come quello della discarica del Casalone»