CIVITAVECCHIA –  A sette mesi di distanza, il giornalista civitavecchiese e dipendente comunale Marco Setaccioli è tornato in Ucraina. Un paio di giorni a Leopoli, poi di nuovo nel cuore del conflitto che va avanti ormai da tre anni. Setaccioli è tornato in un luogo che sente anche un po’ suo, una terra martoriata, tra un popolo «straordinario – ha scritto ieri – che ogni giorno coraggiosamente si alza, torna al lavoro, cresce i propri figli, ricostruisce ciò che viene distrutto e inventa modi per tenere insieme una società che si è scoperta comunità e che questa guerra ha reso ancora più “Nazione”, abbiamo tutto da imparare. Io forse, in fondo, sono qui anche per questo». Setaccioli segue la guerra già dai primissimi giorni, ne ha scritto anche un libro e già ad agosto scorso aveva deciso di vedere da vicino, con i propri occhi, cosa stesse accadendo in quella terra, pur consapevole dei rischi. «Ho deciso da tempo di non essere più un semplice spettatore – aveva detto, confermandolo anche oggi con la nuova partenza - ma di partecipare attivamente alla costruzione di un mondo migliore». 

Ed il primo giorno non è stato certo semplice. «Anche Putin ieri mi ha dato il suo personale bentornato a Kyiv – ha infatti raccontato il giornalista – l’allarme aereo in città è scattato poco dopo le 22 ed è terminato quasi alle 2. Secondo i canali Telegram, in tutta la regione si contavano dai 70 ai 100 droni shahed e quando alcuni di questi si sono avvicinati alla capitale hanno fatto scattare la contraerea. Ai tanti che non vedono o che fingono di non vedere chiedo di riflettere su quante persone qui, nel sentire i colpi delle difese sopra le loro teste, si domandano da tre anni se i detriti di una di quelle macchine di morte li uccideranno o faranno a pezzi le loro case. E di pensare ai bambini, costretti di notte a convivere con esplosioni e distruzioni, e di giorno ad andare a scuola sotto terra, preparando magari lettere al proprio papà al fronte, senza sapere se lo rivedranno mai. Ora moltiplicate tutto questo per 1.120, che sono i giorni di una guerra scatenata da qualcuno che si rifiuta persino di definirla tale, e ditemi, se ne avete il coraggio, che questo non è terrorismo. Ditemi se ci riuscite che il terrore che la Russia semina è colpa della NATO, dei naziucraini o di quel testardo di Zelensky che inspiegabilmente non si arrende alle esigenze imperiali di una cricca criminale che vuole cancellare il suo paese dalle carte geografiche. Questa è vita reale – ha concluso – ed è non troppo lontano da casa nostra. Vivere nell’illusione che a noi non accadrà mai, non serve a far sì che non accada veramente, ma solo a farsi trovare impreparati qualora invece dovesse avvenire».