di GIULIANA OLZAI
CERVETERI - «Eravamo tutti nella stanza da bagno e comunque appena fuori» dice Viola Giorgini nel verbale di sommarie informazioni, rese poche ore dopo la morte di Marco Vannini, negli uffici del Comando della stazione dei Carabinieri di Ladispoli, alle 7,45 di quel tragico 18 maggio.
E si, dopo un pomeriggio al mare con una sua amica, Viola era giunta in casa Ciontoli dopo le 19. C’era Federico, il suo fidanzato, la sua mamma Maria Pezzillo e Antonio Ciontoli, suo padre.
Verso le 20,30 sono arrivati anche Martina Ciontoli e Marco Vannini. Hanno cenato tutti insieme e terminata la cena, dopo «una chiacchierata tranquilla» lei e il suo fidanzato si sono ritirati in camera anticipando gli altri che sono rimasti in cucina.
«Ho sentito poi dei rumori provenire dal bagno. Sembravano Marco e Martina. Posso dire che li ho sentiti anche ridere e mi sembra di aver sentito anche Antonio ridere». Poi, mentre era intenta a guardare la televisione insieme a Federico, ha dichiarato: «Ho sentito un colpo forte provenire da fuori dalla mia stanza. Siamo andati a vedere subito cosa è successo. Marco era disteso a terra parzialmente coperto dalla porta del bagno».
Ma è nel secondo verbale reso nella stessa giornata, alle 17,25 negli uffici del Comando Compagnia Carabinieri di Civitavecchia che Viola precisa meglio quello che ha visto quella sera: «Ho sentito un tonfo. Federico mi ha preceduta ed io l’ho seguito. Martina è uscita contemporaneamente dalla sua stanza e anche la signora Pezzillo dalla sua. Ci siamo trovati tutti e quattro dinanzi la porta di ingresso del bagno. Ho chiesto cosa fosse accaduto ma non ho avuto risposta. Non sono entrata nella toilette perché la Pezzillo diceva che Marco era nella vasca nudo. Ho visto Federico uscire dalla toilette con una pistola in mano. Non saprei precisare di che tipo di pistola si tratti. Ricordo che Marco si lamentava, non ho percepito un suo discorso logico. Ho capito allora che forse era stato esploso un colpo di arma da fuoco. Non ho udito lamenti lancinanti o urla».
Circa cinque mesi dopo, esattamente il 2 ottobre, Viola è stata interrogata dal pubblico ministero Alessandra D’Amore, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Civitavecchia, come persona sottoposta ad indagini. Ed è in questa sede che Viola da una versione dei fatti contrastante con quanto dichiarato precedentemente nell’imminenza dei fatti, con tante imprecisazioni e non ricordo.
Alla domanda del PM su cosa avesse sentito la sera, Viola risponde: «Un rumore, come se fosse caduto qualcosa terra, non so un libro caduto a terra. Un rumore. Sembrava il rumore di un oggetto caduto a terra». Dice anche che quando ha chiesto cosa fosse successo gli è stato risposto di non preoccuparsi e che Antonio ha detto: «E’ solo aria è solo aria. E’ solo un grande spavento!» Conferma di aver visto Federico uscire dal bagno con un arma in mano e che andava a metterla in sicurezza. Aggiunge che «gli si è gelato il sangue» quando ha visto l’arma.
Quando però il pm legge le sue dichiarazioni rese in precedenza nel corso delle quali ha affermato che aveva compreso trattarsi di un colpo d’arma da fuoco, Viola dice: «Nel momento in cui mi è stato detto che è uscito un colpo d’aria dall’arma, ho creduto a questo. Io non ho mai visto un’arma. In quel momento avevo paura, era una situazione nuova, diversa e non so niente di armi. In quel momento ho avuto paura perché già la visione di un’arma mi spaventa, ma ho ascoltato quello che mi è stato detto cioè di non preoccuparmi». E nel momento in cui Federico ha trovato il bossolo «neanche allora ha capito cosa fosse successo». Solo al pronto soccorso ha capito «che era partito questo colpo accidentalmente».
Ora Viola scrive una lettera aperta e chiede comprensione. Marina, la mamma di Marco la commenta così: «La cosa che mi ha indispettita di più di quella lettera è il passaggio dove dice che Federico non può più vivere con i suoi genitori per la pressione mediatica che subisce. Ma lei si ricorda quando è morto Marco? Realizza che non potrà più vivere con noi? No di Marco non parla. Non una parola carina per Marco, è come archiviato, e questo mi ha fatto male. Poi quando dice che all’epoca dei fatti era immatura e che adesso è cresciuta e che solo adesso si rende conto di quello che è successo. Bene se è cresciuta e se ne rende conto vuol dire che è giunta l’ora che parli e dica la verità. Altre risposte non voglio darne perché non voglio darle importanza. Nutro compassione per come si sta comportando».
In quella che si potrebbe definire una valutazione umana della lettera, Roberto Carlino, lo zio di Marco, tranquillizza Viola dicendole che i giudizi sono quelli che emettono i tribunali ma che c’e anche un giudizio morale. «Ho letto la lettera e la definisco di autocommiserazione. Lei si sente messa sotto accusa e ha paura che questo interesse mediatico possa influenzare probabilmente una futura sentenza. L’opinione pubblica si è fatta una idea soprattutto con quella frase quando dice al fidanzato: «ho parato il culo anche a te». In quella frase c’era una ammissione di volontà di fare parte di un disegno che deformava la verità. Una rivelata complicità ed è per questo che sono anche critico sulla sua posizione processuale».