«Il consumo individuale per Capodanno e Natale nella Tuscia si è abbassato del 6-7% rispetto al 2023». A parlare è Gianfranco Piazzolla, presidente provinciale di Confimprese, che traccia un primo quadro dell’andamento reale dei consumi del periodo natalizio e della fine dell’anno. «Nella nostra provincia, così come nel resto d’Italia – dice ancora Piazzolla – la spesa è stata contenuta ma, rispetto al volume di vendite, c’è stata un’evidente diminuzione. L’aumento dei costi ha condizionato un apparente surplus del volume di affari ma il consumo individuale si è abbassato del 6-7%. Quindi, in sintesi, ci sono stati un aumento del volume di spesa generale ma un abbassamento di quello dei consumi». La conferma del trend al ribasso dei consumi, per Piazzolla, è preoccupante «perché mette a rischio la stabilità economica locale e nazionale perché gli aumenti che ci sono stati, insieme a quelli energetici, stimolano di nuovo al rialzo l’inflazione. Questo sta portando, a sua volta, a un blocco della discesa dei tassi d’interesse e alla risalita del debito pubblico».
Il presidente di Confimprese Viterbo, quindi, fa un quadro crudo quando realistico. «A livello nazionale – continua Piazzolla – il nostro osservatorio ha stimato circa 350 milioni di euro in meno di consumi per il Capodanno. La contrazione che c’è stata non era prevista dalle maggiori associazioni di categoria, che avevano stimato consumi anche in crescita rispetto al 2023 per l’aumento di occupazione. In realtà questa crescita del lavoro non è stata valutata in maniera ponderata in base alle retribuzioni e alle tipologie di lavoro. E’ una falsa percezione di crescita dell’occupazione in cui si calcolano anche gli stagisti: è giusto non mandare segnali negativi ma neanche dare dati non reali».
Piazzolla specifica che i dati di Confimprese coincidono «con quelli di Milano Finanza che sono ancora più duri dei nostri. A livello territoriale Viterbo e provincia si attestano sul trend nazionale con cali fino al 10% e i pienoni attesi nelle attività ricettive non ci sono stati con la gente che ha speso di meno anche perché la Tuscia ha, secondo gli ultimi dati, gli stipendi più bassi del Lazio e tra i più bassi d’Italia. La provincia di Viterbo è precaria sia per il numero di occupati che per le tipologie dei contratti e, in generale, per un fattore di crisi del territorio soprattutto nei servizi. Dal 2009 in poi anche i servizi si sono fermati: Viterbo viveva di terziario. Ora sono in crisi anche i professionisti: tanti avvocati vanno a fare i concorsi pubblici. L’agricoltura ha mantenuto ma non è cresciuta».