PHOTO
L'ex nuotatore azzurro Damiano Lestingi
La Cina nel corso degli anni Novanta aveva fatto di tutto per assicurarsi l’organizzazione di una edizione dei Giochi Olimpici. Già per l’edizione del 2000, la prima del terzo millennio, aveva avanzato la candidatura della città di Pechino, ma a causa degli Stati Uniti e della loro contrarietà a questa possibilità, il governo cinese dovette aspettare il 13 luglio 2001, giorno dell’aggiudicazione per la XXIX edizione.
Dopo quattro edizioni disputate in paesi democratici, le Olimpiadi si affacciavano in una nazione ancora chiusa al mondo, con grossi problemi in tema di rispetto dei diritti umani e nella lotta allo smog, ma con un potenziale economico enorme e una storia millenaria alle spalle. Se fin da subito associazioni internazionali come Human Rights Watch e Amnesty International protestarono col CIO per l’assenza di disposizioni a favore dei diritti umani, dall’altra parte l’establishment cinese cercava di convincere il mondo intero che le Olimpiadi avrebbero portato sicuramente un miglioramento nelle relazioni internazionali e nella politica cinese interna ed estera. Anche lo stesso comitato organizzatore si attivò cercando di far passare l’idea che disputare i Giochi in Cina avrebbe portato progressi nell’assistenza medica, nei diritti umani, nella tecnologia e nell’educazione.
Il motto “Una nuova Pechino, una grande Olimpiade” descriveva alla perfezione come il fattore determinante dell’aggiudicazione non furono le promesse del governo o le difficoltà economiche di Istanbul e Osaka (altre candidate) ma il budget pressoché illimitato messo a disposizione dal comitato organizzatore. Questo rispecchiava in toto la concezione del CIO in tema di grandeur delle Olimpiadi.
Ogni edizione doveva per forza di cose essere migliore di quella precedente e l’entrata nella famiglia olimpica delle multinazionali, a partire da Atlanta 1996, peggiorò le cose, portando a un gigantismo olimpico senza precedenti.
La Cina sicuramente stava godendo di un periodo di crescita costante e di successi internazionali. Lo confermò anche l’ingresso nel WTO nel 2001, il ritorno sotto la sovranità cinese di Hong Kong nel 1997 e di Macao nel 1999 e l’aggiudicazione per l’esposizione universale del 2010 nella città di Shanghai (ottenuta nel 2002). Il comitato organizzatore si ritrovò a discutere, come anticipato sopra, di due grosse questioni che potevano inficiare negativamente su Pechino 2008: 1. La causa dei diritti umani stava portando a moti di protesta da parte delle associazioni e dei media internazionali. 2. Il problema dello smog fu una questione molto sentita dagli ambientalisti e da molti atleti.
Il governo cinese, nei giorni di gara, dovette diminuire il consumo di elettricità nel resto della città, chiudere le fabbriche e limitare il traffico di ben ventuno milioni di persone nella sola Pechino.
Le due cerimonie olimpiche (apertura e chiusura) diedero l’immagine di una Cina in grado di entrare definitivamente a far parte della comunità internazionale da assoluta protagonista. Aneddoto curioso: in Cina il numero otto è considerato fortunato e il calderone olimpico è stato acceso alle 08.08 p.m. dell’08/08/08.
Le Olimpiadi di Pechino furono un punto di svolta nella storia cinese poiché fruttarono al governo un sorprendente 8% di crescita economica rispetto all’anno precedente e furono la più grande strategia promozionale di marketing e di pubblicità internazionale mai vista prima.
La politica sportiva cinese, molto simile a quella dell’URSS e della RDT degli anni d’oro, fruttò uno storico primo posto nel medagliere, ma attirò anche molte accuse (soprattutto americane) di doping e di non precisati brogli.
A cura di Damiano Lestingi
©RIPRODUZIONE RISERVATA