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di FABIO MARUCCI
“E qui c’è la notizia!”. E c’è davvero la notizia, caro maestro, per dirla alla tua maniera: Giampiero Romiti non c’è più. Il giornalista degli anni ’80 e '90, civitavecchiese verace, protagonista di tante vicende mediatiche, si è spento all’età di 83 anni. Battuta sempre pronta, addentrato in ogni dinamica (soprattutto politica o amministrativa) legata al territorio, per anni ha rappresentato una voce autorevole del giornalismo locale, sia televisivo che della carta stampata. I suoi “Cattivi pensieri”, i suoi “Succede anche questo”, altro non erano che riflessioni a voce alta affidate all’inchiostro delle rotative, indigeste ai protagonisti delle storie che raccontava, nelle quali però si ritrovava la stragrande maggioranza dei lettori. Pungente al punto giusto, sarcastico negli studi televisivi, capace di mettere a proprio agio il più timido degli ospiti e di fare arrossire anche i vecchi volponi della politica. Semplicemente chiamando le cose con il loro nome, senza preamboli, senza girarci troppo intorno. Giampiero Romiti sapeva il fatto suo, apparteneva alla vecchia scuola, quella che ti insegnava a disegnare le pagine di un giornale con righello, pennarello e menabò. E lo faceva tra un cazziatone e una fumata di sigaretta, tra un calcio in culo e una pacca sulla spalla, trasformando una angusta redazione di provincia in una fucina di giornalisti pronti a raccontare i fatti della loro città con preziosi articoli di giornale, oppure attraverso aneddoti divertenti che rendevano unico l'ambiente lavorativo. Il maestro Romiti è arrivato prima dei programmi di grafica e dei social, ha attraversato in maniera indolore il passaggio dalle veline alla comunicazione rapida con un WhatsApp.
Si è confrontato con la tecnologia delle redazioni tra "la coda" dei primi Ibm e i cellulari Etacs da mezzo chilo, senza mai rinnegare i tempi del fuori sacco. Anzi, a dirla tutta "Il Tempo"...del fuorisacco. Negli anni novanta, nella sede del Tempo in via Cialdi, poteva contare su una redazione fatta di ragazzotti dal peso specifico rilevante: Massimo, Katia, Barbara, Robert, Luciano, Manola, Alessio (ne cito solo alcuni, gli altri mi perdoneranno per questa mia mancanza che di sicuro non toglie valore né prestigio a ciascuno di loro). Furono gli anni d'oro, quelli che portarono all'agognato sorpasso sulla concorrenza diretta in termini di copie vendute. Anche i suoi collaboratori sapevano di poter contare su di lui. E per qualsiasi cosa; guai a toccarli. "Alessio, vammi a comprare le Muratti...un pacchetto compralo anche per te". E Alessio ubbidiva. Ancora oggi, dopo alcuni decenni, Alessio fuma le Muratti. Erano gli anni in cui le redazioni senza nebbia venivano facilmente scambiate per una parrocchia e il giornalista che non fumava era come un santo che non faceva miracoli. Quando si incazzava il maestro l'unica via di salvezza era la fuga, ma tutto passava in fretta e in un attimo tornava il sereno. Una vita dedicata al giornalismo, un faro sempre acceso sullo sport civitavecchiese, con un rispetto infinito per le vecchie glorie. Giampiero Romiti gli ultimi anni in prima linea li ha passati a Viterbo, dove è riuscito a lasciare un segno indelebile con il suo modo di scrivere inconfondibile, sempre diretto e mai banale. Una seconda carriera giornalistica quando per tutti era "Il Maestro", tra presentazione di eventi rilevanti, editoriali pungenti e trasmissioni televisive. Ne abbiamo condotte diverse insieme, durante le quali ha sempre espresso il suo punto di vista sui fatti politici in modo chiaro e pulito. L'ultima volta io e lui ospiti in una trasmissione di cinque anni fa, al termine della quale a momenti ci scappava la rissa con una mezza squadraccia arancione senza arte né parte, salita negli studi per spalleggiare il politicozzo del momento. Naturalmente non mi hanno mai più invitato in tv (a differenza del politicozzo, ovviamente), ma il maestro sapeva che per me quell'ostracismo rappresentava (e rappresenta ancora) una medaglia al valore. Ridevamo come matti a ripensarci ogni volta: lui era consapevole che la piaggeria è un lubrificante sociale e che l'editore tra il giornalista e il politico sceglie sempre il politico. I mesi sono passati in fretta, seppure lontani non ci siamo mai persi. Sapevo che stava male e naturalmente lui "sapeva che io sapevo". Guai a dircelo però: il nostro tempo era fatto di momenti piacevoli, senza sbavature, di risate e commenti ironici sulla direzione che ormai Civitavecchia ha preso da tempo e non per sua colpa. Non amava mostrare il suo lato debole, sarà per questo che negli ultimi tempi le nostre telefonate non duravano più di un minuto: accorciare i tempi equivaleva a ridurre al minimo il rischio di scivolare in sentimentalismi; non era roba per noi. "Risolvo sto problemino e torno a scrivere", mi diceva o mi scriveva ogni volta. "Dajie Maestro, ti aspetto", la più banale delle risposte. Scrivere del suo ultimo viaggio non è certo cosa facile, seppure i ricordi belli che affiorano riescono in qualche modo a stemperare il rovente disorientamento di questi attimi di disperazione passati su una tastiera a ricordarlo. Sono qui a salutarlo come ho sempre fatto: nessun addio, semplicemente “ciao”. Ciao Maestro, saluta gli altri che da quelle parti ti hanno preceduto. Spiega a tutti la differenza tra un titolo e un palo che ti entra...nel petto. Ricorda ancora una volta a chi scrive che la notizia viene prima di tutto. Come in questo caso, in cui avrei preferito una buca clamorosa a un ricordo di te che probabilmente non si avvicina minimamente alla persona e al giornalista che sei stato. E che per sempre resterai.