Spesso le campagne elettorali, soprattutto quando arrivano alle battute finali, interrompono o anestetizzano per qualche settimana i lavori dei due rami del Parlamento; così non è questa volta. Anzi, c’è da dire che proprio in questi ultimi giorni prima del voto per le Europee e la contestuale tornata di amministrative, le Camere – soprattutto il Senato - hanno messo il turbo per l’approvazione di importanti provvedimenti, su tutti la “madre di tutte le riforme” voluta dal governo Meloni: il c.d. “Premierato”. Per come le opposizioni la vedono e la descrivono pubblicamente potrebbe sembrare una legge ad hoc per l’attuale inquilina di Palazzo Chigi; invece, è un’importante riforma che riguarda la revisione di una buona parte della nostra Costituzione. Proprio per questo, saranno necessarie due doppie letture di Montecitorio e Palazzo Madama a distanza di sei mesi l’una dall’altra. Giorgia Meloni però è stata chiara: vuole che almeno il Senato la approvi in prima lettura prima dell’8 e 9 giugno. La corsa contro il tempo (e le centinaia di emendamenti proposti dal centrosinistra) sta dando i suoi frutti e pure i primi accalorati scontri tra maggioranza e opposizione. Come la rissa sfiorata mercoledì nell’aula di Palazzo Madama tra il senatore di FdI Roberto Menia e il collega grillino Marco Croatti. Il casus belli è avvenuto pochi minuti dopo che l’assemblea aveva approvato l’emendamento di maggioranza che abolisce i senatori a vita e in pochi hanno scritto il reale motivo della baruffa tra i due senatori. Noi siamo in grado di raccontarvelo. A riferircelo è stato lo stesso Roberto Menia, amico da anni di chi scrive questa rubrica, che il sottoscritto ha pensato perciò di chiamare al telefono. Ecco la verità, quindi. Appena approvata, come si ricordava poco sopra, l’abolizione (per il futuro, gli attuali cinque rimarranno in carica) della figura dei senatori a vita, Menia avrebbe detto ad alta voce, rivolto verso i banchi delle opposizioni: “così non avrete più stampelle a cui appoggiarvi come spesso avete fatto in passato”. Tra fischi e urla, Croatti, scendendo dai banchi dove siedono i 5 Stelle e dirigendosi verso quelli di Fratelli d’Italia avrebbe urlato: “fascista di m****! A testa in giù dovrebbero mettervi!”. Comprensibile quindi la reazione di Menia che, come una furia, si è lanciato verso il grillino con il chiaro obiettivo di sferrargli uno sganassone. Solo il tempestivo intervento dei commessi e di alcuni colleghi di ambo i contendenti ha fatto sì che Croatti non si ritrovasse con un occhio pesto. La violenza va certamente sempre condannata ma, ci chiediamo: quando smetteranno, quelli di sinistra, di insultare la destra con epiteti così ignominiosi ed evocando persino la forca? Certamente un brutto spettacolo quello di una rissa in un’aula parlamentare, ma ancor di più lo sono certe parole. La lingua, spesso, ferisce più di un’arma, e questo è un dato assodato. Menia è stato redarguito dal suo capogruppo, il senatore Lucio Malan, e l’ufficio di Presidenza del Senato valuta provvedimenti disciplinari. Ma Conte, invece, che farà per censurare il suo senatore? Noi siamo convinti che non farà nulla e non dirà alcunché. D’altronde l’avvocato in pochette è troppo preso dal ridicolizzarsi da solo andando in giro in campagna elettorale a dire che, testuale, “gli italiani mi amano ancora, vogliono che torni a Palazzo Chigi presto”. Toglietegli il fiasco.

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