CIVITAVECCHIA – Da ieri don Federico Boccacci è il nuovo parroco di San Francesco di Paola, avendo lasciato la guida della parrocchia dei Santi Liborio e Vincenzo Maria Strambi. Sacerdote da 19 anni, il giovane don Federico ne ha trascorsi ben 15 nel quartiere di San Liborio, crescendo insieme alla parrocchia, e non solo spiritualmente.

Quando nel lontano 2009 arrivò nel quartiere la chiesa era un container. Una piccola luce di speranza in una zona che si stava popolando in quegli anni, alla periferia della città, poco conosciuta, poco frequentata. Ma al giovane don Federico, dopo due anni trascorsi a Tarquinia e altrettanti alla Santissima Trinità, è bastato uno sguardo per capire le grandi potenzialità del quartiere e della sua piccola chiesa. Quella che oggi è diventata una imponente ed accogliente struttura, in espansione, pensata, ideata e fortemente voluta dal compianto vescovo Carlo Chenis, che la progettò.

Don Federico, dopo 15 anni trascorsi a San Liborio, quali sono i momenti più significativi che porterà con sé da questa esperienza, soprattutto considerando che lei ha visto nascere e crescere la parrocchia, passando dal container alla chiesa vera e propria?

«Questa chiesa è nata e cresciuta con me, ne sento una paternità straordinaria. Qui sono cresciuto, siamo cresciuti insieme. L'amore non lascia, allarga il suo abbraccio. L'amore non si divide, si moltiplica. Questo lo voglio ribadire. Certo, il passaggio è doloroso, non lo nego, ma fa parte del nostro percorso. Il vescovo Chenis diceva che “la chiesa è una corsa a staffetta”: sono davvero contento ed orgoglioso del segmento che mi è stato dato da compiere. Un percorso unico e straordinario, irripetibile. Il quartiere mi ha accolto che avevo appena 29 anni, da quattro ero sacerdote. Tre i momenti che posso definire importanti, tra i tanti vissuti a San Liborio. Innanzitutto le tante iniziative svolte in giro per il quartiere , quando avevamo solo il container ed avevamo bisogno di spazi. Ci incontravamo nei giardini, negli androni dei palazzi , in strada, anticipando di fatto la chiesa in uscita di Papa Francesco. E poi le feste, tantissime e partecipate, in ogni momento dell’anno. Momenti di aggregazione e di amicizia attraverso i quali la comunità si è pian piano cementata. E infine il momento solenne della dedicazione della chiesa, il momento apicale del percorso: si è concretizzato nel mattone quanto avevamo costruito dal 2009 con preghiera e comunità. Una chiesa che rappresenta il segno di quello è stato in precedenza: solenne, robusta, luminosa, accogliente e calda».

Il quartiere è cambiato molto negli ultimi anni e la parrocchia è stata un punto di riferimento per molti, specialmente durante la pandemia. Come ha vissuto quel periodo e come ha mantenuto il legame con la comunità attraverso i video e i messaggi?

«La chiesa è stata ed è sempre aperta al sociale. In questo quartiere mancano diversi punti di riferimento e la comunità parrocchiale, in questo contesto, si è imposta, attraverso un percorso di accompagnamento importante. A San Liborio c’è un gruppo di famiglie e ragazzi che danno una grande mano: insieme sono state organizzate feste ed iniziative, momenti di preghiera, feste di carnevale per tutti e che tutti ricordano per la grandissima partecipazione. Per chiudere con la quattro giorni di festa patronale, punto ormai fisso dell’estate di San Liborio, e non solo per la chiesa, ma per tutto il quartiere.

Soprattutto durante il periodo del Covid e della pandemia, abbiamo consegnato pacchi alimentari a chi ne aveva bisogno, abbiamo mantenuto contatti telefonici con chi era solo e aveva bisogno di parlare, di scambiare qualche parola. Abbiamo raccolto grida d’aiuto e cercato di sostenere al massimo tutto il quartiere. Ricordo con il sorriso, nonostante la preoccupazione del momento, i flashmob dal cortile: ho iniziato con l’inno d’Italia, brani musicali per poi andare avanti a 360 gradi. E la risposta era forte. Si affacciavano in tanti sui balconi di fronte, coinvolgevo i vari condomini, c’era risposta ed interazione. Un oratorio a distanza, un momento di respiro per tutti. Insomma, questa chiesa ha davvero un impatto sociale importante: è una bella eredità che ho lasciato al mio successore».

Quali sfide si aspetta di affrontare nella sua nuova parrocchia, San Francesco di Paola, e come pensa di poter applicare le lezioni apprese a San Liborio nella sua nuova missione pastorale?

«Sicuramente l’obiettivo più importante, anche in questo caso, sarà quello di creare sempre più il senso di comunità e comunque rafforzare quello che già è presente. Bisognerà lavorare con le famiglie, anche se è sempre più difficile, considerati i ritmi a cui sono sottoposte oggi nella quotidianità: è una sfida ambiziosa ed eroica. Solo così possiamo riuscire a coinvolgerle nell’impegno e nella parrocchia, attraverso la fiducia, per tirare fuori il meglio di ognuno. Poi sicuramente qui avrò tanti spazi a disposizione che a San Liborio, soprattutto all’inizio, non avevo: possiamo fare insieme tante e grandi cose».

Se potesse lasciare un messaggio alla comunità di San Liborio, quale sarebbe il suo augurio o consiglio per il futuro della parrocchia e del quartiere?

«Ai parrocchiani confermo il bene, la stima e la consapevolezza del loro valore. Devono essere orgogliosi della comunità che sono e sono diventati: dovranno proseguire con gioia e determinazione il percorso che hanno intrapreso. Il quartiere ha grandi potenzialità, tanta gente buona e volenterosa: ma deve trovare la sua identità, avendo coraggio di uscire di casa e costruire relazioni, creando un tessuto sociale sempre più forte».

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