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CIVITAVECCHIA – Era il 2 febbraio 1995 quando in una villetta in località Pantano i Gregori - una famiglia come tante altre a Civitavecchia composta da papà Fabio e mamma Annamaria, e dai figli Jessica e Davide a cui si aggiunse dopo qualche anno Manuel - fu testimone di un evento che avrebbe segnato per sempre le loro vite e catturato l'attenzione del mondo intero.
Una statuetta in gesso bianco della Madonna, proveniente da Medjugorje e custodita in una nicchia nel loro giardino, versò lacrime di sangue. Il fenomeno si ripeté per ben 14 volte, tra il 2 e il 6 febbraio 1995 e poi, l’ultima volta, il 15 marzo successivo, questa volta nelle mani dell’allora vescovo Girolamo Grillo, lasciando attoniti non solo i presenti, ma anche i numerosi esperti e fedeli che accorsero sul luogo nei giorni successivi. A questo evento si aggiunsero i messaggi consegnati dalla Vergine alla piccola Jessica Gregori - allora appena bambina, oggi donna e mamma - messaggi che richiamavano alla conversione e alla preghiera per un mondo sempre più in difficoltà. Tra incredulità, speranza e polemiche, la lacrimazione divenne oggetto di approfondite indagini sia giudiziarie e scientifiche che ecclesiastiche. Decisivo fu il ruolo di monsignor Grillo, inizialmente scettico, che si ricredette dopo essere stato testimone diretto della lacrimazione. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II mostrò una profonda devozione, accogliendo la statuetta in Vaticano e consacrandola con una corona benedetta.
Oggi la statuina è custodita nella chiesa di Sant’Agostino che, nel 2005, è stata elevata a Santuario della Madonna delle Lacrime. Fin dalle prime lacrimazioni, la famiglia Gregori ha scelto di mantenere un basso profilo, evitando ogni sovraesposizione mediatica. Poche le interviste concesse in questi trent’anni, ma il loro silenzio non ha mai significato distacco. Al contrario, la famiglia ha continuato a vivere con fede e discrezione, rimanendo unita di fronte alle inevitabili pressioni e critiche.
Oggi, a distanza di tre decenni, e con una seconda statuina della Madonnina che emana essenze profumate dal 1996 quando fu regalata dallo stesso Giovanni Paolo II, i Gregori si raccontano con la stessa semplicità che li ha sempre contraddistinti, ricordando quei momenti straordinari e riflettendo sull’eredità spirituale e umana che quel “miracolo” ha lasciato nelle loro vite.
Come descrivereste, con le vostre parole, quei giorni del febbraio 1995 in cui avvenne la lacrimazione? Che emozioni avete provato e come reagì la vostra famiglia di fronte a un evento così inatteso?
«Il 2 febbraio, da trent’anni a questa parte, è ormai diventata una data cardine per la nostra famiglia... come se fosse il compleanno di qualcuno di noi. Lo attendiamo con ansia, lo viviamo con gioia. Sono stati giorni, quelli che vanno dal 2 febbraio al 15 marzo 1995, in cui la nostra vita è cambiata di punto in bianco. Giorni di forti prove, ma anche di tanta tranquillità e gioia. Un turbino di emozioni, a volte anche contrastanti, che però culminavano sempre in quella pace interiore che quella piccola Madonnina ci trasmetteva, insieme a quella volontà, mai affievolitasi, di aiutarla a non soffrire più per quella umanità così persa, per quelle incessanti preoccupazioni che da Madre ha per i suoi figli».
Cosa ha significato per voi, come famiglia, vivere un’esperienza di tale portata che ha coinvolto in prima persona quella che allora era una bambina? In che modo il “miracolo” delle lacrime ha trasformato il vostro quotidiano?
«Sicuramente quello che è cambiato in noi, non è tanto la routine quotidiana, quanto la percezione della vita e del rapporto fra il Cielo ed essa. Avendo avuto modo, nel corso di questi tre decenni, di accogliere e ascoltare tanti pellegrini, provenienti da ogni lato del mondo, e condividere con loro sia gioie che dolori, ci è stato possibile modellare il cuore e la vita nel servire gli altri».
Se doveste descrivere in tre parole l’esperienza della lacrimazione e tutto ciò che ne è seguito, quali sarebbero e perché?
«Sicuramente gioia; poi, amore; infine, sofferenza. Gioia perché ci siamo resi conto, fin da subito, della presenza amorevole del Cielo nella nostra casa, che ci ha permesso di andare avanti senza esitare mai. Amore perché, seppur peccatori e ultimi per l’uomo, Dio ha toccato le corde dei cuori della nostra famiglia. Infine, sofferenza perché, questa è la sola via della verità, sicuri, però, che ogni sofferenza si tramuta in gioia».
L’eco mediatica è stata travolgente: come avete affrontato l’attenzione dei media, del pubblico e, talvolta, delle critiche? Questo ha mai influito sulle vostre relazioni personali o sulla serenità familiare?
«Abbiamo vissuto allora, come facciamo oggi, imitando le virtù di Maria: silenzio, nascondimento e obbedienza. Solo in questo modo si è potuto preservare per così lungo tempo un evento soprannaturale così grande. Umanamente, però, è vero che l’insistenza dei media è stata destabilizzante in certe occasioni; ma, mai, è stata capace di minare la tranquillità e l’unità della nostra famiglia. Anzi, crediamo che queste prove abbiamo, nei fatti, rafforzato ancor di più i nostri legami».
Come avete vissuto il rapporto con la Chiesa, considerando le indagini canoniche e la posizione ufficiale sul “miracolo”? Vi siete mai sentiti supportati o, al contrario, incompresi?
«Il nostro rapporto con la Santa Madre Chiesa è sempre stato franco e amorevole, vissuto in un clima sereno di obbedienza filiale verso i vari ordinari della nostra Chiesa locale che si sono susseguiti in questi decenni, e verso i diversi pontefici: primo fra tutti San Giovanni Paolo II tanto devoto all’evento di Civitavecchia. Anche perché questo è quello che ci aveva chiesto la Madonnina: la strada della verità è nella Chiesa di Dio. Quella stessa Chiesa locale competente in prima battuta per il riconoscimento dell’evento soprannaturale, che avvenne attraverso l’approvazione delle conclusioni della Commissione teologica diocesana che attribuì le lacrimazioni di sangue a un intervento di natura soprannaturale».
A distanza di 30 anni, cosa rimane in voi di quell’esperienza? Ha cambiato la vostra fede o il modo in cui vedete la vita?
«Certo, un cambiamento c’è stato. La nostra fede si è rafforzata, come anche il modo di vedere la vita è cambiato; ma, quello che non è cambiato è il nostro essere sé stessi. La Vergine e il Signore ci scelgono per come siamo, peccatori e bisognosi delle loro carezze di amore. Proprio Lei ha detto di continuare ad essere così, semplici, dolci e puri come fanciulli, perché così la facciamo felice e la facciamo sorridere di gioia».
Se doveste lasciare un messaggio alla comunità di Civitavecchia e a chi continua a ricordare l’evento della lacrimazione, cosa direste?
«Non siamo certo noi a dover “lasciare dei messaggi” alla collettività… quello che va detto lo si trova nel Vangelo. Certo, possiamo aggiungere solo quello che la Vergine ha detto a Civitavecchia, in continuità con il messaggio dato in precedenza a Fatima: l’invito alla conversione e alla consacrazione al Cuore Immacolato; la recita del Rosario come arma per sconfiggere l’avversario di Dio e prevenire lo scoppio di una terza guerra mondiale, così come la distruzione di tante famiglie; la partecipazione frequente alla Santa Messa e la preghiera per i sacerdoti, i vescovi e il Santo Padre. Alla nostra città chiediamo solo di rispettare chi crede in questo evento e di ritrovare, in quella piccola statua, quella pace che solo la Vergine sa donare».
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