LADISPOLI - È stato condannato a tre anni Emanuele Orefice, il 35enne di Ladispoli accusato di maltrattamenti in famiglia.

I FATTI.

Era inizio del 2022 quando l'uomo fu arrestato con l'accusa di aver picchiato con una cinta la sua compagna e le figlie. A dare l'allarme sarebbe stata proprio la donna, con i militari che hanno arrestato il 35enne poco prima che questi si recasse a lavoro. La vittima avrebbe raccontato che l'uomo aveva dato in escandescenza subito dopo aver visto alcune fotografie che ritraevano una delle loro figlie, intenta ad abbracciare e a baciare il proprio fidanzatino, custodite all’interno del suo cellulare. Relazione della quale, la donna lo aveva tenuto all’oscuro temendone proprio la reazione violenta. La compagna avrebbe inoltre raccontato che la furia dell’uomo sarebbe stata tale da spingerla a meditare il suicidio, senza però trovare il coraggio di gettarsi nel vuoto proprio in ragione delle bambine. Solo pochi mesi prima Orefice era stato condannato a 3 anni per lesioni gravi aggravate da futili motivi, per i fatti accaduti un anno e mezzo fa in piazza Rossellini, con la vittima, un 30enne, che perse l’uso dell’occhio destro.

LA SENTENZA.

Nella giornata di ieri è arrivata la sentenza del giudice: 3 anni. La Procura aveva chiesto 5 anni e quattro mesi. «Come persone offese siamo soddisfatti - ha commentato il legale della donna, l'avvocato Nicola Bramante - È stata riconosciuta la piena responsabilità di questa persona e tutto l'impianto accusatorio ha retto. Auspichiamo che adesso le persone offese (la compagna e le figlie, ndr) possano recuperare un po' di serenità dopo questa brutta vicenda».

Soddisfatti anche i legali del 35enne, l'avvocato Carmelo Pirrone e Pietro Messina. «Il gup ha accolto le nostre richieste di valutare i fatti nella loro reale portata - ha detto l'avvocato Pirrone - al netto delle aggravanti e delle circostanze prospettate dalla parte civile e non supportate da alcuna prova. Rimane da valutare la sussistenza del dolo del reato di maltrattamenti in famiglia, che ci riserviamo di sostenere, come argomento - ha concluso - in sede di appello».

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