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Anche Viterbo avrà un comitato contro il deposito nazionale di scorie nucleari. È stato annunciato ieri pomeriggio nel corso dell’incontro “Il no della Tuscia al deposito di scorie nucleari”, organizzato da Tuscia in Movimento alla sala regia di Palazzo dei Priori: il Comitato No scorie Viterbo esordirà il 6 aprile nell’incontro di Vulci. Erano presenti come relatori la sindaca di Viterbo Chiara Frontini, il presidente del BIodistretto della Via Amerina Famiano Crucianelli, l’ingegnere Marco Rossi, l’oncologo Angelo Di Giorgio e l’esperto di sistemi decisionali Tonino Scarelli.
Sandra Gasbarri del Biodistretto ha ricordato i due appuntamenti in programma contro il deposito di scorie nucleari, il 6 aprile a Vulci e l’11 maggio a Corchiano.
Attualmente, nel percorso verso la scelta del sito che ospiterà il deposito, si è allo step della Valutazione d’impatto ambientale e, nel 2026, ci saranno anche le possibili autocandidature e gli accordi istituzionali.
Tante le critiche sulle modalità di scelta di Sogin tra cui «gli 8 criteri portati avanti – ha detto Scarelli – rispetto ai 29 che sono previsti dal decreto specifico». Tuscia in Movimento, organizzatore dell’evento, è il movimento provinciale che ha unito Biodistretto della Via Amerina, Isde Medici per l’ambiente, Non ce la beviamo e Viterbo Insieme e, ora, con il nuovo comitato no scorie di Viterbo si batterà anche per «una manifestazione a Roma che stiamo pensando – ha detto il presidente del Biodistretto Crucianelli – per sensibilizzare di più. Di fronte alla chiusura di Sogin può esserci solo una risposta, giunti a questo punto, una forte opposizione di piazza. In Sardegna, Sicilia e Basilicata hanno annunciato che ci sarebbero rivolte di popolo e, da noi, ci sono ben 21 siti idonei. Abbiamo contestato l’impianto generale per le scelte».
«L’avere voluto ospitare l’assemblea - ha detto la sindaca Frontini - vuole essere una modalità di dimostrare quanto l’amministrazione comunale e la città di Viterbo aderiscano convintamente alla battaglia che i comitati stanno facendo. Il fatto di non essere amministrativamente coinvolti non significa non essere parte della battaglia. Tutti abbiamo cercato di mettere in campo gli strumenti come i ricorsi amministrativi ma quella è solo una strada. Le istituzioni nulla possono se non diventa una battaglia di popolo, le comunità non devono accettare delle scelte calate dall’alto. La nostra provincia rispetta la propria tradizione agricola, sul turismo, sulla sostenibilità e sul rispetto dell’ambiente e degli ecosistemi. La Tuscia è una terra che ha il 75% degli impianti di energia rinnovabile del Lazio e l’8° posto nazionale per il valore aggiunto agricolo. Il no al deposito scorie é un risultato che dobbiamo raggiungere, la problematica è di adesso, non dobbiamo arrivare tardi».
Marco Rossi, presidente consiglio comunale di Gallese e ingegnere, dal 2021 sta studiando scientificamente il problema dell’ipotesi deposito nella Tuscia. «Verranno smantellati definitivamente – ha detto Rossi - gli impianti nucleari, di medicina nucleare, industria e ricerca scientifica. I rifiuti sono disseminati in Italia in ordine sparso, 49% al Nord, 30% al Centro e 21% al Sud e i rifiuti più pericolosi stanno per il 73% al Nord. Il deposito è un’opera statale e recepisce un obbligo europeo. La Sogin è una società per azioni a totale capitale pubblico. Il deposito sarà riempito in 40 anni, il tempo di rilascio della radioattività è di 300 anni, il numero di fusti smaltiti 13 mila per un volume complessivo di 74 mila metri cubi. In attesa di un deposito geologico che non è previsto anche i rifiuti radioattivi ad alta intensità saranno posti nel deposito».
Rossi ha poi precisato poi che «il deposito occuperà una superficie di 150 ettari, 250 campi da calcio: tutta la città di Viterbo. Nel Viterbese ci sono 16 aree idonee nella parte ovest della Tuscia e 6 nella parte est. Delle aree più probabili ce ne sono ben 5 su 12 nella Tuscia e potrebbero aumentare». Paola Celletti di Non ce la beviamo ha letto un documento scientifico dell’Isde contrario al deposito scorie perché «ci sono gravi situazioni ambientali nella Tuscia come il radon – ha detto – che impongono di non realizzare il deposito: l'arsenico nelle acque, pesticidi in agricoltura, qualità dell’aria compromessa dalle centrali di Montalto e Civitavecchia. Nel periodo 2010-2014 sono stati diagnosticati 10.098 nuovi tumori». Il dottor Angelo Di Giorgio ha spiegato scientificamente che «si tratta di una quantità enorme di rifiuti radioattivi in un unico punto, mentre in Europa trovano posto in più siti: la nostra proposta è quella di mantenere le scorie presso le rispettive centrali dismesse». Di Giorgio ha quindi detto che «la maggior parte dei 60 comuni ha prodotto delibere di opposizione, 11 comuni su 14 coinvolti hanno presentato osservazioni al Seminario nazionale, associazioni e comitati hanno investito risorse per opporsi e ricorrere al Tar, mentre Regione Lazio e Provincia hanno espresso parere negativo e ricorso al Tar». Di Giorgio, quindi ha riassunto i motivi di opposizione principali sono «l’assenza di valutazione dei rischi per la salute tra i criteri di Sogin, incoerenza fra quadro normativo e progettualità, errori metodologici, l’assenza di analisi epidemiologica di tumori nella provincia di Viterbo. La Tuscia è la prima provincia per incidenza tumorale nel Lazio e la 9° in Italia».