di DANILA TOZZI
LADISPOLI - Quella tragica sera del 17 maggio Antonio Ciontoli chiamò all’1,15 di notte il comandante della stazione dei carabinieri di Ladispoli, Roberto Izzo, a cui era legato da antica conoscenza, al cellulare di servizio. Poche parole che l’avvocato Veronica Raimo, chiamata ad assistere Izzo per altre questioni personali, rievoca ora con serenità «perché il mio assistito non c’entra nulla in questa storia: infatti non è stato interrogato, tantomeno interpellato dalla Procura di Civitavecchia, titolare dell’inchiesta sul caso dell’omicidio del giovane Marco Vannini». Una semplice telefonata, quindi, da militare a militare. In sostanza, mentre il comandante si vestiva per recarsi al Pit (da dove l’aveva contattato Ciontoli), il militare di servizio alla caserma di Ladispoli aveva ricevuto una telefonata dal 113 di Roma, in cui qualcuno alla polizia, in forma anonima, dichiarava che un ragazzo a Ladispoli era gravemente ferito, a seguito di un colpo d’arma da fuoco e si trovava, appunto, al Pit. Il militare ha quindi avvertito Izzo, il quale, informato appunto da Ciontoli, si stava già recando sul posto di Primo Intervento. «Data la situazione - spiega l’avvocato Raimo - avvertì immediatamente i suoi superiori della Compagnia di Civitavecchia, competenti per trattare casi simili». Ancora una volta il legale Raimo ci tiene a sottolineare che: «Il maresciallo Izzo non è stato trasferito dallo Stato Maggiore dei Carabinieri, bensì aggregato ad altro reparto per esigenze di servizio. Tale provvedimento però non è stato ancora applicato, benchè risulti avviato ad aprile, perché Izzo è tuttora lontano dalla caserma per motivi di salute». Così l’avvocato Veronica Raimo cerca di chiarire, una volta per tutte, la posizione del maresciallo Izzo.