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Predisposizione all’export: la Tuscia all’89° posto nazionale e la peggiore del Lazio.
Sono i numeri evidenziati dalla Cgia di Mestre che ha elaborato i dati forniti dall’Istat.
Nel 2023 (dati parziali) il Viterbese ha esportato beni per 485 milioni di euro, rispetto ai 460 del 2022 ed ai 380 del 2019. La crescita è stata del 5,5% tra 2022 e 2023 e del 27,8% tra il 2023 ed il 2019. Nel Lazio è la provincia di Roma ad essere la prima per propensione all’export e 15° nazionale con 13.071 milioni di euro di esportazioni, anche se con una flessione tra 2023 e 2022, in cui l’export della capitale è stato di 15.061 euro. Nel 2019 l’export fu di 10.638 milioni di euro. Segue la provincia di Latina (20° nazionale) con 8.001 milioni di euro di esportazioni, inferiori agli 8.936 milioni di euro del 2022 ed agli 8.681 del 2019. Quindi Frosinone (28° in Italia) con 6.568 milioni di euro, rispetto ai 7.250 del 2022 ed ai 7.614 del 2019. Anche Rieti è migliore di Viterbo all’87° posto nazionale con 558 milioni di euro di export nel 2023 (inferiori ai 617 del 2022 e superiore ai 354 del 2019). In generale la prima provincia per export è nettamente Milano con 57.897 milioni di euro nel 2023, seguita da Torino (29.614); Vicenza (23.011); Bergamo (20.763); Brescia (20.571): Firenze (20.435); Bologna (20.328); Modena (18.574); Treviso (16.216) e Verona (14.418). Tra le città del Sud prima è Napoli (11° in Italia) con una crescita boom dell’export nel 2023 con 14,418 milioni di euro, seguita da Siracusa (21° nazionale) con 7.745 milioni di euro; Cagliari (31° in Italia) con (6.169); Bari (45°) con 4.950 e Potenza (60°) con 2.566. Tra le regioni con maggiore export prima è nettamente la Lombardia con 163.151 milioni di euro nel 2023, seguita dall’Emilia Romagna (85.080); Veneto (81.907); Piemonte (64.855); Toscana (57.562) e Lazio (28.683). “Nonostante le vendite all’estero delle nostre imprese siano rimaste le stesse del 2022 – dice la Cgia di Mestre - rimane straordinario lo score registrato da alcuni settori che molti esperti identificano come le “4A”: ovvero, l’Automazione/Meccanica, l’Abbigliamento/Moda, l’Alimentare e l’Arredo/Casa. Insomma, il nostro “Made in Italy” rimane una garanzia di successo, non solo nell’export, anche se è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’efficacia delle strategie di internazionalizzazione delle imprese. Tuttavia, chi stabilisce se un prodotto italiano è esportabile oppure no? Nella stragrande maggioranza dei casi i titolari di una azienda decidono di internazionalizzarsi perché hanno colto l’importanza di vendere all’estero per aumentare la marginalità e credono nel proprio prodotto, perché rispecchia l’italianità che in tutto il mondo è apprezzata per la qualità, il gusto, il design, la bellezza e la cura dei dettagli. Specificità, quelle appena richiamate, che caratterizzano i beni realizzati dalle 123 mila imprese italiane che esportano”.