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“Siamo lieti di annunciare che la nostra acqua contiene arsenico”.
E’ l’ironico incipit della lettera aperta, rivolta a cittadini e utenti Talete, in cui il comitato per l’acqua pubblica Non ce la beviamo commenta le dichiarazioni comparse sulla stampa dei vertici Talete e degli esponenti politici in merito alla presenza di arsenico nell’acqua.
“Se ne è accorto l’amministratore unico di Talete Spa, Salvatore Genova, pronto a chiedere lo stato di calamità naturale. Se ne è accorto il consigliere della Regione Lazio Daniele Sabatini che ci ha informati del piano d’azione approvato dalla giunta della Regione Lazio da 12 milioni di euro per gli anni 2023 e 2024, per l’esecuzione di interventi volti all’abbattimento dell’arsenico e dei fluoruri nelle acque destinate al consumo umano. Se ne è accorto il consigliere della Regione Lazio Enrico Panunzi, che ci ha informati di essere il promotore di un altro stanziamento da parte della Regione Lazio, per la potabilità e l’adeguamento degli impianti idrici gestiti da Talete: ben 18 milioni di euro per il triennio 2024-2026. Se ne è accorto il presidente della Provincia Alessandro Romoli, preoccupatissimo per la situazione finanziaria di Talete, che ha chiesto un intervento da parte della Regione Lazio, esortando tutti a “lasciar perdere adesso il giudizio di valore su acqua pubblica o privata, sulla distribuzione, il servizio, l’arsenico, cerchiamo di sterilizzarla sotto il profilo meramente economico finanziario perché il problema è drammatico”.
"Incredibile!" sottolinea in maniera sarcastica la missiva per poi ricordare che il comitato Non ce la beviamo “da 12 anni punta i riflettori sulla gestione di Talete. Sono 12 anni che chiediamo spiegazioni su scelte poco logiche ed economicamente disastrose; 12 anni che chiediamo ad amministratori e politici di non far ricadere i costi dell'inquinamento delle nostre acque sui cittadini, in quanto l’arsenico e i fluoruri sono un problema ambientale e sanitario le cui soluzioni competono alla Regione Lazio”.
Dodici anni - rimarcano nella nota - in cui invece - “abbiamo assistito a scelte politiche, operative e gestionali" che vengono così riassunte, in ordine di tempo: "esternalizzazione della gestione dei dearsenificatori (e in molti casi anche dei servizi sulla rete idrica), in luogo della formazione del personale di Talete, con conseguente aumento dei costi; scarse, se non nulle, richieste di interventi strutturali alla Regione, con conseguente aumento dei costi a carico dei cittadini; aumento delle tariffe per accedere al finanziamento di 40 milioni che Arera avrebbe concesso per sanare la situazione finanziaria della Talete”.
E il comitato stigmatizza come “nessuno dei responsabili (amministratore unico, presidente della Provincia e sindaci soci di Talete) si è fatto carico di dare seguito all'iter procedurale per ottenere i fondi in questione. Esito: ulteriore aumento dei costi, mentre il finanziamento da parte di Arera è caduto nell'oblio. E gli enormi costi della dearsenificazione sono stati metodicamente messi in carico agli utenti, sulle nostre bollette da capogiro”.
A testimonianza di quanto affermato, il comitato cita quanto emerso dal 14esimo rapporto nazionale sul servizio idrico integrato presentato nei giorni scorsi da Cittadinanzattiva, da cui risulta che nella Provincia di Viterbo nel 2023 si sono spesi (per un consumo medio di 182 metri cubi) 614 euro l’anno: il 30,6% in più rispetto al 2019.
“Questa cifra, che ci fa salire al quindicesimo posto della graduatoria nazionale, - si rimarca nella lettera - non tiene poi conto del costo che le famiglie sostengono ogni giorno per comprare l’acqua minerale”.
Secondo Non ce la beviamo però “a guardar bene le cifre, qualcosa non torna. I dearsenificatori incidono per un 30% sul bilancio di Talete. Forse lo stesso 30% che stiamo già pagando in bolletta? Perciò quali sono i veri motivi dell'attuale situazione?” si chiede il comitato dandosi poi una risposta.
“La nostra esperienza ci dice che Talete è stata portata sull'orlo del baratro finanziario – volutamente – con il fine di aprire la strada al socio privato, al quale finiremo per affidare la gestione del servizio idrico, svendendo il 40% delle quote della nostra acqua. Alla faccia del referendum per l’acqua pubblica vinto nel 2011”.
Per Non ce la beviamo “è evidente che il privato non porterà capitali propri, ma finanzierà il servizio attraverso dei prestiti, facendo così ricadere sulle nostre bollette sia gli interessi dei mutui, sia il profitto che per definizione dovrà perseguire. E sarà quello stesso privato che gestisce l’acqua nella Provincia di Frosinone, con bollette astronomiche da 867 euro l’anno e una perdita sulla rete idrica del 73% e che attualmente è il capoluogo con le bollette più salate d’Italia”.
La lettera si conclude con un appello ai cittadini “alla partecipazione attiva se veramente si vogliono cambiare le cose” e con l’invito ad aderire alle future iniziative organizzate dal comitato per l’acqua pubblica.