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Il blitz antiterrorismo interforze tra polizia e Interpol è scattato ieri mattina all’alba dopo che da mesi gli investigatori, coordinati dalla Dda di Milano, tenevano sotto controllo Baris Boyun, l’uomo più ricercato della Turchia, agli arresti domiciliari a Bagnaia. Il quarantenne di origini curde, presunto boss della mafia turca, è finito in carcere ieri mattina insieme alla moglie. L’uomo avrebbe pianificato attentati in Turchia e in Germania. Sarebbe stato lui il capo dell’organizzazione terroristica smantellata ieri.
Insieme a lui sono state arrestati altre 17 persone, tutti soggetti turchi dimoranti in Italia, ma in Svizzera e Germania e Turchia. Tra loro c’è la moglie di Boyun e altri turchi che vivono nella Tuscia: Ahmet Durmus, 37 anni, e Firat Cogalan, 29 anni, residenti a Vetralla; Bayram Demir, 32 anni, residente a Nepi; Caglar Senci, 28 anni, residente a Tuscania; Friki Faith Cancin, 42 anni, e Kerem Akarsu, 24 anni, dimoranti a Montefiascone. L’unico italiano è il 30enne viterbese Giorgio Meschini.
Sono tutti indagati a vario titolo, per associazione per delinquere aggravata anche dalla transnazionalità, banda armata diretta a costituire un’associazione con finalità terroristiche e a commettere attentati terroristici, detenzione e porto illegale di armi “micidiali” e di esplosivi, traffico internazionale di stupefacenti, omicidio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Boyun era stato arrestato ad agosto del 2022 a Rimini, in seguito a un mandato di cattura internazionale emesso dal governo turco. Al momento dell’arresto, aveva respinto le accuse, sostenendo di essere un perseguitato politico e di aver già chiesto la protezione internazionale. Era finito così ai domiciliari prima Crotone e poi a Bagnaia. Successivamente il presunto boss era stato al centro di querelle tra l’Italia e la Turchia che, ne aveva chiesto l’estradizione. Richiesta che era stata rigettata prima dal tribunale di Bologna e poi dalla Corte di Cassazione.
Boyun, quando era a Crotone, era stato oggetto di un attentato organizzato dal gruppo criminale rivale.
Dalle intercettazioni sarebbe emersa la volontà del presunto boss di vendicarsi organizzando un attentato armato nei confronti di coloro che riteneva responsabili del fatto.
«Dammi una settimana di tempo, sto facendo grandi preparatorie, tutta la Turchia ne parlerà - dice nel corso di un’intercettazione - farò saltare in aria la fabbrica».
«Non sono emersi attentati programmati in Italia e nemmeno nei confronti delle nostre istituzioni» ha detto il neo procuratore aggiunto di Milano Bruna Albertini, titolare dell'indagine, ieri nel corso della conferenza stampa a Milano.
«In Italia - ha aggiunto - si sentiva protetto in quanto il mandato di arresto proveniente dalla Turchia non era stato avallato» dalla magistratura di Bologna. Gli attentati emersi dall'inchiesta riguarderebbero una fabbrica di alluminio in Turchia, poi sventato, un noto ristorante e una gioielleria di Istanbul.
Gli arrestati
Insieme ai sette arrestati nella Tuscia, sono finiti in carcere anche Aytekin Cemil, Bingol Okan, Boyun Ece, Burulday Abutalip, residente a Catania, Buyukkaplan Ozge, Gultepe Tolga, residente a Crotone, Kertlez Onal, Ozcan Serkan, Sahin Emrah e Simsek Sinan tutti residenti in Svizzera. Due gli indagati a piede libero gli avvocati Matteo Murgo e Antonio Buondonno. Sono accusati di accusa di ricettazione in quanto, è scritto nell’ordinanza “al fine di procurarsi un profitto, ricevevano in varie tranches denaro di provenienza illecita essendone consapevoli con l’aggravante di avere commesso i fatti nell’esercizio della professione”.
Giacomo Meschini, l’autista del gruppo
Giacomo Meschini, il 30enne viterbese, avrebbe fornito supporto logistico all’associazione avendo come valore aggiunto la conoscenza della lingua (nelle sue relazioni con le forze dell’ordine) e del territorio (in relazione ai viaggi in cui ha partecipato, nel corso dei quali aiuta i corrieri turchi a orizzontarsi). Secondo gli investigatori Meschini trasportava gli associati e gli assisteva negli spostamenti “necessari” e funzionali alle esigenze e scopi associativi sull’intero territorio nazionale. Le indagini hanno consentito di accertare lo stretto rapporto tra Senci e Meschini.
Il viterbese, inoltre, si è messo subito “a disposizione” per accompagnare Cancin quando c’era da prelevare la moglie di Baris Boyun dall’aeroporto e lo accompagna il 15 marzo 2024 a Roma a prendere dei soldi e il 25 marzo 2024 partecipa anche al recupero di armi.
“Proprio i dialoghi intercettati durante il viaggio a Roma per il recupero dei contanti - si legge nell’ordinanza - dimostrano come gli altri sodali presenti non avessero remore ad aprirsi (Senci spiega a Meschini il meccanismo del token e apre il sacchetto contenente i contanti alla vista di Meschini) o ad affidargli il compito di recuperare e trasportare le armi, evidentemente considerandolo “uno di loro”.
La microspia nel braccialetto elettronico
Una delle principali attività del gruppo era il traffico di armi. E’ quanto emerge dalle indagini effettuate sulla auto, sui telefoni e soprattutto nell’abitazione ove Boyun è agli arresti domiciliari, tramite una microspia nascosta nel suo braccialetto elettronico.
«Non abbiamo elementi tali da fare ipotizzare la progettazione di attentati nei confronti di obiettivi sul territorio italiano - ha detto ieri il procuratore capo di Milano, Marcello Viola, nel corso della conferenza stampa - Vi è però questa connotazione ed evidente pericolosità perché sono state sequestrate numerose armi. Ricordo: granate e persino un bazuka. Quindi è chiara la prova della pericolosità oggettiva di questo gruppo. Anche perché era evidente il rischio di confrontarsi con soggetti così palesemente armati. La professionalità di chi ha operato - ha concluso il procuratore - ha consentito di arrivare all’esecutività dell’operazione».