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Piazza della Repubblica a Viterbo strapiena ieri pomeriggio per la manifestazione sindacale indetta da Marco Nati della Flai Cgil Civitavecchia Roma Nord Viterbo, Sara De Luca della Fai Cisl Viterbo e Antonio Biagioli della Uila Uil Viterbo per commemorare Naceur Messaoudi, il bracciante agricolo tunisino di 57 anni morto lo scorso 19 luglio per un malore raccogliendo cocomeri nelle campagne di Montalto di Castro. Lavorava a 40 gradi e con una paga al di sotto delle norme contrattuali: era in Italia da 30 anni e lascia moglie e figli.
L’evento è cominciato con l’arrivo degli attivisti di Tuscia in lotta che hanno gridato contro lo sfruttamento del lavoro e retto uno striscione con la scritta “Lavoro o non lavoro dobbiamo vivere!”.
Erano presenti, per dare la loro adesione e testimonianza anche il vicesindaco di Viterbo Alfonso Antoniozzi, l’ex deputato Alessandro Mazzoli, la consigliera regionale del Pd Marta Bonafoni, il segretario provinciale della Uil Giancarlo Turchetti, il segretario nazionale Flai Cgil Davide Fiatti. Tanti i soggetti che hanno aderito: Anpi Viterbo, Rete antitratta, Rete degli studenti medi, Percorso, Arci Viterbo, Centro culturale islamico Viterbo, Rete no bavaglio nazionale, Rete no bavaglio Viterbo, associazione Semi di pace, Aucs Onlus. A moderare l’evento il giornalista Daniele Camilli.
«Serve dignità per questi lavoratori sfruttati e senza tutele – ha detto, tra gli altri, Sara De Luca, responsabile della Fai Cisl Viterbo – e pieno coinvolgimento delle istituzioni. Non si può morire di lavoro a 40 gradi per due euro all’ora». Lamine Jlassi, cugino di Naceur, spiega che «mio cugino è venuto in Italia per lavorare lasciando con grande sacrificio tutta la famiglia, è inaccettabile sapere che sia morto raccogliendo cocomeri in un campo».
«Piazza piena con il mese di agosto che si è aperto nel peggiore dei modi piangendo un morto – dice Marta Bonafoni, consigliere regionale del Pd – per il caldo che ha investito anche la Tuscia. Noi siamo qui per dire che è inaccettabile morire di lavoro ed in condizioni di schiavitù nel 2023. Ci sono norme che impongono una serie di decisioni, di scelte e di azioni alle istituzioni e siamo qui per dire di metterle in atto. Serve potenziare i controlli e fare in modo che chi ne ha la competenza vada nei luoghi di lavoro a controllare chi sfrutta i braccianti. Quindi si deve intervenire sul tema dei trasporti e della casa. Altra grande battaglia che stiamo facendo come opposizione è quella sul salario minimo: abbiamo ascoltato la testimonianza di un lavoratore a due euro e mezzo all’ora. Non si può andare avanti così».
Antonio Biagioli della Uila Uil ha invece posto l’attenzione sul «lavoro agricolo che è il lavoro primario, senza di esso non avremmo nulla sulle nostre tavole. Eppure il salario di questi lavoratori sono paghe da fame, tanti lavorano per poco più di due all’ora. E’ inaccettabile. Noi non risolviamo parlando e basta perché poi le paghe restano quelle, dobbiamo invece trovare il meccanismo per il quale vengano pagati i salari contrattuali previsti che sono molto più alti di quelli che vengono realmente dati».
A presidiare l’evento tante forze dell’ordine ma, a parte un breve momento di tensione, tutto si è svolto nella massima regolarità.
Toccante, come riferito anche dagli organizzatori, la testimonianza di Sal Mussà, il bracciante agricolo che ha raccontato la sua storia che è quella di tanti altri colleghi sottopagati e con condizioni di lavoro estreme. Il messaggio di piazza della Repubblica è stato uno ed unico: basta!