TARQUINIA - Era stato arrestato nel maggio 2016 su ordine del gip della procura di Civitavecchia Paola Petti e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari con l’accusa di favoreggiamento (ex articolo 378 cp), in quanto, secondo l’accusa, aveva favorito soggetti sottoposti ad indagine per traffico di sostanze stupefacenti.
Il castello di fango che per oltre tre anni ha travolto il sovrintendente capo del Commissariato di Polizia di Tarquinia, Fernando Cosimi, dopo anni di carriera, encomi e riconoscimenti, oltre che la stima dei cittadini di Tarquinia e dell’intero territorio comprensoriale dove è cresciuto e ha prestato la propria opera, si sta sgretolando.
Dopo l’assoluzione in primo grado con formula piena per non aver commesso il fatto (25 gennaio 2017), lo scorso 19 settembre la terza sezione penale della Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, restituendo di fatto dignità personale e professionale al poliziotto tarquiniese.
Tutto nasce dal verbale del 2 aprile 2016, redatto dalla squadra di Polizia giudiziaria del Commissariato di Tarquinia di allora, che all’epoca dei fatti era diretta dal vice questore aggiunto Gina Cordella, e relativo all’intercettazione ambientale effettuata il 25 marzo 2016.
Secondo i colleghi di Cosimi, della Pg, il reato del collega si sarebbe sostanziato con due frasi che il poliziotto avrebbe pronunciato durante una sua visita all’interno di una pizzeria “attenzionata’”, oggetto d’indagine nell’ambito dell’operazione denominata ’’Doppio zero’’. Nel corso di una conversazione con il titolare dell’esercizio commerciale, secondo l’accusa sarebbero state intercettate frasi “chiave’” pronunciate da Cosimi e quindi poi trascritte nel verbale di polizia giudiziaria che avrebbero favorito i personaggi indagati ad eludere le indagini.
Immediatamente si attiva la difesa di Cosimi, rappresentata dagli avvocati Pier Salvatore Maruccio, Francesca Maruccio e Claudia Trippanera, che avviano una serie di attività tecniche, svolte anche con consulenze, ed emerge subito chiaro che nelle registrazioni in questione, le due frasi attribuite a Cosimi - “Te fa male l’agnello eh” e “Non te fa magna’ il cazzo dalle mosche” - non ci sono.
Nominati i consulenti tecnici, in particolare il perito fonico dottor Marco Zonaro, professionista in ambiente giudiziario, arriva la conferma dell’inesistenza di quelle frasi.
Si apre il processo, con la richiesta del rito abbreviato condizionato ad una consulenza tecnica d’ufficio che viene accolta dall’allora gup, la dottoressa Giusi Bartolozzi. La perizia svolta dal consulente del giudice conferma quanto già sostenuto dalla difesa all’inizio delle indagini: le frasi non ci sono. Cosimi viene assolto dal tribunale di Civitavecchia, con sentenza di primo grado emessa, dal giudice Bartolozzi nell’udienza del 25 gennaio 2017, con formula piena per non aver commesso il fatto.
La Procura di Civitavecchia (dottoressa Valentina Zavatto) fa appello alla sentenza e il 19 settembre si svolge il processo. Lo stesso procuratore generale della Corte d’Appello, - alla luce di tutta una serie di attività della difesa, con deposito di memorie e di ulteriore documentazione - chiede l’assoluzione di Cosimi che, pertanto, viene assolto dalla Terza sezione penale della Corte d’Appello di Roma.
Contemporaneamente Cosimi, dopo la sentenza di assoluzione di primo grado, presenta denuncia-querela nei confronti dei cinque colleghi che avevano scritto, verbalizzato e sottoscritto quelle frasi presunte intercettate che in realtà non ci sono. La denuncia-querela viene presentata alla Procura generale di Perugia che poi, per competenza, trasferisce il fascicolo a Civitavecchia.
Si apre un’indagine delicatissima e complicatissima affidata al dottor Piloni della Procura di Civitavecchia che, correttamente, demanda il compito ulteriore, nonostante le tre perizie già effettuate, di far periziare le intercettazioni al Ris di Roma che conferma ancora: queste frasi non ci sono. Il dottor Piloni chiede pertanto il rinvio a giudizio dei cinque poliziotti della Polizia giudiziaria per falso in atto pubblico.
I cinque poliziotti scelgono il rito abbreviato, condizionato alla perizia con nomina del consulente di parte, che viene eseguito dinnanzi al dottor Filocamo. L’8 maggio 2019, il gup di Civitavecchia, dottor Francesco Filocamo, condanna i cinque poliziotti per il reato di falso in atto pubblico ( otto mesi di reclusione ciascuni con pena sospesa), in concorso tra loro, perché avrebbero falsamente trascritto quelle frasi ritenute inesistenti.
“Il giudice ne riconosce anche il dolo - spiega l’avvocato Trippanera - vale a dire la volontà di attribuire quelle frasi, peraltro rimarcate in grassetto, al loro collega Cosimi, con “l’intento di avvalorare la falsa ipotesi investigativa”, riconoscendo pertanto la piena responsabilità degli imputati condannati ad otto mesi di reclusione ciascuno (concesse le attenuanti generiche)”.
Daniela Napoli, Giuseppe Biagiola, Fabrizio Delle Monache, Enio Maccarri e Giovanni Ricciardi vengono anche condannati al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile. Disconosciuta ogni responsabilità in capo alla dottoressa Gina Cordella che dirigeva sostanzialmente l’indagine ma che quei giorni risultava in ferie.
“Sotto un profilo di presumibilità – ha spiegato l’avvocato Pier Salvatore Maruccio - chi dirige dovrebbe essere a conoscenza delle indagini, ma sotto un profilo di effettività sarebbe emerso che non ci fosse stata questa sua attenzione. Sarebbe stata forse tratta in inganno da un’attività superficiale dei suoi dipendenti”.
“Nell’ambito di questa indagine noi abbiamo fornito degli elementi di riscontro di natura tecnica e non emozionale – hanno sottolineato gli avvocati Maruccio e Trippanera - perché il problema nasceva da un fatto tecnico. Le intercettazioni di carattere audiovisivo trascritte dagli agenti di polizia giudiziaria sottolineate in grassetto e considerate come determinanti di fatto non esistono. Per queste ragioni abbiamo scelto il rito abbreviato perché era evidente che nella scelta processuale ci si dovesse attenere a quelle che erano le risultanze allo stato degli atti e che tali risultanze andavano arricchite da un supporto di natura tecnica e analitica sofisticato che abbiamo chiesto ed è stato svolto”.
Il sovrintendente Fernando Cosimi, dal canto suo - dopo essere stato sospeso dal servizio per più di un anno ed aver subito la gogna mediatica anche al livello nazionale per quanto accaduto -, è stato già da tempo reintegrato. Circostanza questa messa in rilievo dagli avvocati difensori: «Cosimi è stato reintegrato totalmente nel grado e nel ruolo e attualmente svolge la sua piena attività – hanno rimarcato gli avvocati - Va dato atto al Ministero dell’Interno della tempestività con la quale ha deciso per il reintegro di Cosimi nelle funzioni e nel ruolo nel quale operava».
Restano tuttavia le ferite aperte nella vita di un uomo appartenente alle forze dell’ordine da più di trent’anni e costretto a subire gravi riflessi anche a livello di serenità familiare: «Quando si mette in moto la macchina della giustizia – ha spiegato l’avvocato Francesca Maruccio - poi inevitabilmente rimane travolta la sfera familiare: parliamo di una persona con due figli grandi, una moglie, e che costituiva anche l’unica fonte di sostentamento economica. Ha dovuto subire la sospensione dello stipendio, con inevitabili ripercussioni nella qualità della vita».
«Di fronte a questa situazione – ha aggiunto l’avvocato Pier Salvatore Maruccio - le strade sono due: da un lato lo Stato dovrebbe rispondere a seguito della sofferenza avuta da parte del soggetto che ha subito la restrizione ingiusta; dall’altra, i danni effettivi sotto il profilo dell’immagine è evidente che si riverberano nei confronti dei soggetti che in maniera errata o scorretta hanno attribuito un certo tipo di responsabilità a Cosimi».