CIVITAVECCHIA . Sambuca fa rima con Molinari. E Molinari non può non far rima con Civitavecchia.

Una storia lunga quasi ottant’ anni che ha visto l’azienda, produttrice di bevande alcoliche, crescere e svilupparsi, diventando una realtà internazionale, veicolo del Made in Italy nel mondo, ma sempre saldamente ancorata a Civitavecchia.

Dal 1945 ad oggi è riuscita a rinnovarsi, a rispondere al mercato, a rinnovarsi ed innovarsi, con aggiornamenti nei processi produttivi, nei prodotti o nelle strategie di mercato. Tutto per rimanere quella che è oggi: un’azienda leader, fiore all’occhiello per l’Italia.

Fondata da Angelo Molinari, oggi a capo dell’azienda ci sono i fratelli Mario, Angelo ed Inge, la terza generazione, figli di Antonio Molinari, il fratello della senatrice Mafalda, scomparso due anni fa.

Ed è Mario Molinari a raccontare cosa è diventata oggi l’azienda, e non solo.

L'azienda di famiglia ha una lunga storia nella produzione della Sambuca. Come è cambiata la Molinari negli ultimi anni sotto la vostra guida?

«In questi anni è cambiato molto il mercato degli alcolici in generale e, soprattutto, sono cambiati i mezzi di comunicazione. Abbiamo quindi trasferito gli investimenti sull’online, cosa a cui prima non pensavamo. Ma il marketing è sempre stato un settore sul quale abbiamo puntato molto. Quando nacque Carosello, noi c'eravamo, ci abbiamo creduto, e abbiamo iniziato la nostra pubblicità. Poi ci siamo presentati con una sorta di cartone animato negli anni Novanta, ringiovanendo il target. Insomma, siamo nell’immaginario collettivo da sempre. E oggi abbiamo deciso di puntare su feste, musica e social, cambiando completamente strategia di marketing rispetto al passato, adeguandoci ai tempi».

Ogni percorso imprenditoriale è costellato di sfide. Quali sono state le criticità più significative che avete incontrato recentemente, e come le avete superate? Ci sono stati momenti particolarmente difficili che hanno richiesto soluzioni innovative?

«Sicuramente una delle criticità più significative che abbiamo dovuto affrontare negli ultimi tempi è legata al Covid, e agli effetti della pandemia. Il 90% del mercato era legato alla grande distribuzione e il 10% all’Horeca (hotellerie-restaurant-café ndr).

Oggi la situazione si è ribaltata, con il settore Horeca che chiaramente vende di più rispetto alla grande distribuzione. Complice anche una crisi della famiglia tradizionale. Prima si stava in casa, oggi meno, si preferisce uscire e festeggiare qualsiasi cosa fuori, in locali e ristoranti. E allora è lì che abbiamo continuato a guardare, seguendo questo mercato, impegnando molte energie per crescere con i nostri prodotti.

E i nostri prodotti non sono oggi solo la Sambuca, ma abbiamo un accordo per la distribuzione in Italia del gruppo Rémy Cointreau, e per le toniche premium London Essence».

Essere un leader mondiale nella produzione della Sambuca porta grandi responsabilità. Come bilanciate l'esigenza di innovazione e competizione globale con la necessità di preservare l’identità italiana del vostro marchio? Quali strategie adottate per mantenere l’autenticità del prodotto in un mercato così vasto?

«Il modello che proponiamo è un modello che tiene sul mercato ed attira. Da un lato ci sono le nostre eccellenze italiane, e quindi la Sambuca, ma anche ad esempio il Limoncello di Capri. Sappiamo che l’80% dei limoncelli venduti in Italia non sono fatti con i limoni, bensì con coloranti e aromi. Qui parliamo di un prodotto di qualità, fatto con bucce di limone, alcol e zucchero. Ci distinguiamo.

E la risposta, in questo senso, ci gratifica e ci convince che la strada scelta è vincente. Il limoncello oggi si facendo spazio all’estero anche nei cocktail, negli Spritz in particolare. Dall’altra parte siamo orgogliosi di aver portato in Italia grandi brand internazionali; i nostri partner inglesi e francesi sono quotati in borsa.

Cerchiamo quindi di conoscere il nostro target di riferimento e sul quello ci “modelliamo”, andiamo ad offrire prodotti diversi, dagli oltre 3000 euro per una bottiglia di cognac Remy Martin Louis XIII alla nostra Sambuca. Conosciamo il mercato, andiamo ad investire nel target più vicino al nostro brand, garantiamo qualità e ci siamo».

La Sambuca ha origini profondamente radicate a Civitavecchia. In che modo la Molinari mantiene vivo il legame con le sue radici culturali e locali mentre si espande globalmente? Come contribuite allo sviluppo del territorio e come la comunità locale percepisce l’azienda?

«Le radici continuano ad essere qui. Anche io, dopo aver vissuto tanti anni all’estero, sono rientrato a Civitavecchia. Da qui è partita tutta la nostra storia. L’azienda è nata da nonno Angelo che dopo aver avuto un passato da profumiere - e l’aroma di anice che ci contraddistingue conferma proprio questa sua attitudine - ed aver dimostrato una grande passione per l’erboristeria, diventò liquoraio. Con lui una grande squadra, formata da zio Marcello e zia Mafalda, donna straordinaria che portò la Sambuca ad essere protagonista della Dolce Vita, nei salotti e nei locali di via Veneto a Roma, protagonista di un’era. Intanto continuava l’ampliamento dell’azienda, dalla prima fabbrica a via Isonzo, allo spaccio, fino alla televisione, alla produzione anche in altre località, in un crescendo costante ma con lo sguardo rivolto sempre a Civitavecchia. Qui abbiamo mantenuto una parte importante della produzione: basta entrare nello stabilimento per essere accolti dall’aroma di anice. Poi siamo anche a Colfelice, con un altro stabilimento. Ma Civitavecchia è casa. Ci siamo rapportati con le diverse amministrazioni, ci sentiamo parte di questa comunità: e in quest’ottica va anche l’impegno costante della nostra Fondazione Angelo e Mafalda Molinari».

Ecco, la Fondazione Molinari ha avuto un impatto significativo in ambito sociale. Quali sono le iniziative di cui andate più fieri e quali quelle che vi piacerebbe mettere in campo nei prossimi tempi?

«Azienda ed associazionismo in generale sono e devono essere strettamente legati; un’azienda deve avere radici profonde nel territorio, per crescere insieme, per sentirsi tutti parte della comunità.

Quanto è stata avviata la Fondazione Molinari, ci si è rivolti inizialmente all’ambito sanitario, con tanti progetti messi in campo e finanziati a sostegno del territorio.

Poi ci siamo rivolti ad un altro target, ai giovani e, in modo particolare, ai ragazzi in difficoltà. Un aiuto al prossimo che ci deriva dalla nostra educazione e che portiamo avanti con orgoglio. E quindi borse di studio, progetti di lettura ma soprattutto corsi per avviamento al lavoro; ci siamo orientati, ad esempio, su fotografia e cucina. Cerchiamo di essere vicini a chi ha più difficoltà, a chi non ha avuto gli strumenti adatti e vorrebbe intraprendere una qualche strada. Vogliamo esserci, per questa comunità. E quindi, pensando a prossimi obiettivi, mi piacerebbe proseguire con questo tipo di progetti che abbiamo già finanziato, ma in maniera più strutturata. Vogliamo aiutare i giovani a trovare la propria strada nel mondo del lavoro, accompagnandoli, finanziando corsi professionali, seguendoli nel tempo e facendoli, perché no, diventare protagonisti di iniziative specifiche per raccontare poi la propria esperienza».

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