Deposito nazionale di scorie nucleari, la parola all’esperto. Per fare chiarezza di cosa si parla quando si tratta del deposito che raccoglierà le scorie radioattive sparse in Italia La Provincia intervista il geologo e geofisico senior Antonio Menghini, membro dell’IAH (International Association of Hydrogeologists) ed editore associato della rivista Acque Sotterranee (Italian Journal of Groundwater).
Dott. Menghini, perché è necessario costruire il deposito nazionale di scorie nucleari?
«La Commissione Europea ce lo impone in quanto previsto esplicitamente da una direttiva comunitaria. Molti altri Paesi si sono dotati di questo strumento indispensabile e non possiamo più permetterci di rimandare la questione».
Cosa ospiterà, quanto sarà grande il deposito e come verranno stoccati i rifiuti nucleari?
«Il deposito nazionale, unico per tutta Italia, dovrà ospitare in maniera definitiva i rifiuti a bassa radioattività ed in maniera temporanea quelli ad alta radioattività. I primi, per un volume di 78.000 mc, saranno costituiti in prevalenza (50.000 mc) dallo smantellamento delle centrali nucleari dismesse; la parte restante (28.000 mc) deriva invece da attività ospedaliere (applicazioni di tipo diagnostico e terapeutico), di ricerca ed industriali. I rifiuti ad alta radioattività avranno invece un volume di 17.000 mc. L’estensione del deposito sarà pari a 150 ettari, equivalenti a più di 20 campi da calcio). I rifiuti a bassa radioattività verranno dapprima “affogati” in una malta cementizia per poi essere trasferiti al deposito in contenitori metallici, chiamati “manufatti”. Questi ultimi verranno poi posizionati e cementati in "moduli" di calcestruzzo speciale delle dimensioni di 3x2x1.7 m. A loro volta i moduli verranno alloggiati in “celle” di cemento armato di 27x15.5x10 m. Sia le celle che i moduli sono progettati per resistere almeno 350 anni. Sopra le celle verrà realizzata una collina artificiale che impedirà l'infiltrazione delle acque piovane».
Perché il deposito nazionale dovrà stoccare anche i rifiuti ad alta radioattività?
«Perché in Italia ancora non è stato individuato il deposito geologico profondo che dovrà stoccare in maniera definitiva anche questi rifiuti. In tutta onestà, ritengo molto probabile, visti i tempi decisionali in Italia, che questi rimarranno a tempo indefinito nel deposito nazionale, non progettato per stoccare gli stessi».
Come sono state selezionate le aree potenzialmente idonee?
«L’analisi è stata condotta da Sogin, sulla base delle indicazioni fornite dalla guida tecnica 29 di Ispra. Questa prevede una serie di criteri di esclusione (ce) e di approfondimento (ca). Sono state pertanto escluse le aree attive da un punto di vista sismico e vulcanico, a rischio idrogeologico e geomorfologico (ovvero potenzialmente soggette ad alluvioni e frane), quelle poste a quota maggiore di 700 m s.l.m., quelle troppo ripide, quelle troppo vicine alla costa (meno di 5 Km) o a quote inferiori ai 20 m s.l.m., le zone soggette a carsismo e quelle dove la falda freatica è affiorante, quelle troppo prossime a vie di comunicazioni importanti (a meno di 1 Km), le aree caratterizzate dalla presenza di risorse del sottosuolo (idriche, energetiche e minerarie), quelle vicine ad attività industriali rischiose, dighe, aeroporti, poligoni militari. I criteri di approfondimento sono stati poi presi in considerazione per ridurre il numero delle aree potenzialmente idonee».
Perché i 21 siti su 51 ritenuti idonei nella Tuscia invece, secondo lei, non sono adatti ad ospitare il deposito?
«Come fatto rilevare non solo dal sottoscritto, per quanto riguarda i siti di Canino, Montalto di Castro e aree limitrofe, ma anche da docenti universitari della Tuscia e da tantissimi esperti, per tutti i siti del Viterbese, non si è tenuto conto del criterio di esclusione n.14, quello cioè che si riferisce alla eventuale presenza di risorse idriche. Correttamente Ispra ha segnalato questo fattore di rischio, in quanto non possiamo escludere a priori incidenti che comportino sversamenti nel sottosuolo di sostanze radioattive. Vi sono altresì casi eclatanti di zone “idonee” ubicate addirittura sull’area di ricarica di sorgenti captate ad uso pubblico (come quella del Bottino, ad uso del Comune di Canino). Ulteriori osservazioni critiche sono state avanzate da docenti dell'Università di Torino e di Siena, oltre che da geologi e ambientalisti, sostanzialmente per gli stessi motivi, ma anche per il metodo di selezione adottato, ritenuto decisamente obsoleto. E’ stata sollevata anche la completa inosservanza di strumenti più aggiornati, a livello cartografico e di uso del territorio. Come geologo posso senz’altro affermare che si è fatto ricorso a carte geologiche di oltre 50 anni fa ! Oppure carte idrogeologiche valide su una scala regionale, non di certo idonea per come sarebbe richiesto da uno studio di così vitale importanza».
A che punto siamo dell'iter e come si sono mosse le realtà locali?
«Dopo la pubblicazione dei primi 67 siti nel gennaio 2021 (22 dei quali nella nostra provincia...quindi un terzo!), Sogin ha avviato la Consultazione Pubblica, attraverso la quale si potevano inviare osservazioni per contrastare la scelta di siti. Si sono costituiti vari Comitati, con la partecipazione anche dalle Amministrazioni Comunali coinvolte, così come l'Amministrazione Provinciale ha espresso parere contrario. Il Biodistretto Amerino ha predisposto un documento estremamente dettagliato al quale hanno contribuito, per la parte geologica i professori Piscopo e Madonna dell'Unitus ed il geologo libero professionista Antonio Mancini, scaricabile dal sito dello stesso Biodistretto. Le osservazioni ricalcano i dubbi espressi in merito a questioni di carattere idrogeologico, ma anche di metodo, socio-economico, etc.»
Sogin ha accolto le osservazioni di Università, associazioni, enti locali?
«La seconda lista dei siti potenzialmente idonei è stata resa pubblica il 13 dicembre scorso. Per quanto riguarda il Viterbese solamente una delle 22 aree è stata esclusa. Sono state invece accolte le osservazioni contrarie di alcuni siti piemontesi, entrambi quelli toscani, oltre ad altri, per cui dagli iniziali 67 si è scesi a 51. Allo stato attuale quindi i siti idonei del Viterbese sono 21 su un totale di 51 (siamo pertanto saliti ad una percentuale di oltre il 40 %). A questo punto dobbiamo sapere perché solamente per il Viterbese non si è tenuto conto della presenza di importanti risorse idriche, ampiamente sfruttate da tutti i Comuni».
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