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E’ il secondo Trasporto della Macchina di Santa Rosa per il vescovo di Viterbo Orazio Francesco Piazza e, con il nuovo modello Dies Natalis, inizia un ciclo che lo porterà ad essere il riferimento dei viterbesi per il senso religioso di uno sforzo che, prima di tutto, è di fede e devozione cristiana verso la santa bambina artefice di tanti miracoli nei tempi difficili in cui visse.
Cosa ne pensa di “Dies Natalis”?
«E’ una profonda emozione. E’ il secondo anno che vivo questa emozione straordinaria, identitaria di una comunità. Ho vissuto con intensità tutto il Trasporto di Gloria partecipando dal di dentro. Attendevo con grande ansia questa nuova esperienza e, già il nome di questa nuova Macchina, è stato particolarmente centrato. Lo colgo da due punti di vista: parlare del dies natalis di Santa Rosa significa andare a cogliere la sintesi di una vita. Il dies natalis è il momento in cui una persona sale al cielo ma racconta tutta la sua vita. In questo passaggio, in questo limen, nell’andare al cospetto di Dio c’è tutta la vita di Santa Rosa. Mi ha particolarmente emozionato questa progressione verso l’alto della Macchina: è teologicamente centrata perché sono le opere che accompagnano verso il cielo, i poveri amati, la pacificazione sociale, l’impegno di questa giovane donna che, malgrado tutte le difficoltò personali, vive la fedeltà al vangelo e la centralità di Cristo nella sua vita. E’ una Macchina nuova ma dal cuore antico, non solo architettonicamente ma anche teologicamente: centra l’attenzione sulle opere di Rosa, raccontate con volti, figure concrete come concreti sono i poveri e la dimensione sociale in cui Rosa viveva».
Qual è, secondo lei, il senso vero degli eventi del settembre viterbese?
«Dice bene, perché gli eventi sono molteplici. Non solo il Trasporto che diventa l’immagine pubblica più condivisa. Il cammino di avvicinamento al 3 settembre parte già da marzo con un impegno ampio e la partecipazione dei Facchini e di tutte le parti cointeressate: si approda al momento finale ma lo si vive tutto l’anno. Sono molteplici anche le celebrazioni che, da un lato, vedono la preparazione religiosa profonda nella processione del cuore di Santa Rosa in cui tutte le componenti sociali e della memoria storica, con associazioni e movimenti, convivono; quindi il Trasporto. I valori sono sempre gli stessi: volontà, coesione e, soprattutto, fiducia e fede: permettono di capire questo diagramma che attraversa tutte le celebrazioni, sia religiosa che di memoria culturale. Il Trasporto è l’immagine del camminare nella città, della viterbesità di questa giovane donna che i viterbesi sentono profondamente propria».
Lei si è insediato quasi due anni fa: un suo bilancio e cosa l’ha colpita maggiormente in questo periodo.
«Il 3 dicembre saranno due anni che sto a Viterbo. Posso dire che ho molta familiarità, mi sembra di starci da molti anni, ho visitato tutte le comunità cercando di arrivare anche alle frazioni e ai luoghi più piccoli. Il mio desiderio è stato quello della presenza, di fare sentire la vicinanza, di farmi conoscere. E’ stato un anno molto intenso e per certi versi anche faticoso perché il territorio è molto vasto. Posso dire, però, che è un’esperienza esaltante perché è una realtà di cui si rimane facilmente innamorati. E’ un conteso bellissimo, una natura esuberante, borghi meravigliosi che, purtroppo, alcuni sono in via di spopolamento: in questo caso approfitto per dire che alcune scelte pastorali che sto producendo vanno nel senso di favorire l’integrazione e la coesione sociale. Uso questa immagine: il campanile. E’ fondamentale localmente ma non per chiudersi nelle proprie mura: uniamo idealmente tutti i campanili e ne esce la sintesi delle identità territoriali. Alla sorpresa iniziale corrisponde lo stupore successivo: alle tante questioni in gioco si possono dare risposte con le potenzialità forti presenti nella Diocesi di Viterbo».