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Scorie nucleari, la realizzazione del deposito nazionale non vedrà la luce prima del 2029. Almeno stando alle tempistiche stimate e rese note dal ministro ad Ambiente e Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin durante l’audizione in Parlamento. Nella seduta di mercoledì, presso le commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera, che verteva sul ruolo delle tecnologie nucleari nella transizione energetica con l’annuncio della costituzione di un gruppo di lavoro per una legge delega sul nucleare, si è fatto il punto anche sul deposito unico di stoccaggio dei rifiuti radioattivi. Il ministro, partendo dall’ipotesi che tutte le fasi procedurali vadano a buon fine, ha stimato che «si potrà ottenere l’autorizzazione unica per il deposito nazionale nel 2029, con la messa in esercizio prevista entro il 2039» e ha aggiunto che «questi tempi possono certamente sembrare lunghi, ma voglio sottolineare che la complessità del progetto e le esigenze di sicurezza richiedono un approccio estremamente cauto e rigoroso».
Cinque anni di tempo per arrivare alla costruzione della struttura ma intanto prosegue l'iter per la procedura di valutazione ambientale strategica che prende in considerazione i 51 siti ritenuti idonei da Sogin, di cui la maggior parte - ben 21 - ricade nel territorio della Tuscia. Pichetto Fratin, a tale proposito ha tenuto a precisare «che quella pubblicata è ancora una proposta di Cnai, già sottoposta al parere dell’Isin, ma che non può essere considerata la carta definitiva fino al completamento della procedura di valutazione ambientale strategica».
La Vas, secondo il ministro, «non solo potrà consentire alle amministrazioni locali di partecipare nuovamente al processo decisionale, ma potrà offrire l’opportunità di approfondire i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione del deposito nazionale. Questo è un aspetto cruciale, poiché il deposito non rappresenta solo un'infrastruttura per la gestione in sicurezza ma anche un’opportunità di sviluppo per i territori coinvolti, come dimostrato dalle tante esperienze simili a livello europeo». Soltanto al termine di questa fase, Sogin potrà eventualmente aggiornare la Cnai sulla base delle considerazioni emerse durante la Vas. Quindi si potrà avviare la procedura per acquisire eventuali manifestazioni di interesse da parte di Regioni ed enti locali, soltanto dopo l’approvazione definitiva della Carta delle aree idonee. Evidenziando poi come ogni volta che si parla del deposito nazionale di scorie nucleari si assista a «grandi levate di scudi» da parte dei territori interessati, il titolare del dicastero Ambiente ha tenuto a sottolineare che «è importante ricordare che senza uno o più depositi di rifiuti non potremo più usufruire neanche di tante terapie e diagnosi mediche si utilizzano quotidianamente perché queste normalmente producono rifiuti radioattivi».
Dopo il tentativo - fallito - di dare la possibilità ai Comuni di autocandidarsi e la recente ipotesi di ragionare su tre depositi - uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud - Pichetto Fratin ora gioca di sponda valutando anche soluzioni alternative «con pari livello di sicurezza» puntando «sull’ammodernamento delle strutture esistenti, eventualmente ampliandole, sfruttando la possibilità di farlo in località potenzialmente già idonee alla gestione in sicurezza di rifiuti radioattivi, anche nell’ottica del rientro dall’estero di scorie ad alta attività che lì si trovano per riprocessamento da diversi anni». Sono 100 i depositi attualmente distribuiti su 22 siti ubicati in tutto il territorio nazionale «perché in Italia si producono annualmente dai 300 ai 500 metri cubi di rifiuti medicali di bassa e media attività. Spesso si tratta di strutture, presenti al Sud, al Centro e al Nord, isole comprese - ha rimarcato Pichetto Fratin - con le quali il territorio convive da molti anni e che in alcuni casi necessitano semplicemente di un ammodernamento in termini strutturali e tecnologici».